Nella dichiarazione che ha chiuso i lavori del summit inter-coreano di Pyongyang del 18-20 settembre non c’è alcun riferimento alla richiesta americana di una lista completa delle armi e dei siti nucleari della Corea del Nord. Nonostante questo, Moon ha dichiarato che la completa denuclearizzazione della penisola “non è molto lontana”.
Oltre ai sorrisi e alle foto del leader nordcoreano Kim Jong un e del presidente sudcoreano Moon sul monte dove la mitologia vuole sia nato il popolo coreano, ci sono ancora molti ostacoli che impediscono alla Corea di trasformarsi in una “terra di pace”.
Durante la conferenza stampa congiunta di mercoledì 19 settembre Kim Jong un ha accettato che un team di ispettori internazionali sovraintenda alla distruzione di uno dei maggiori siti usati per i test missilistici e allo smantellamento della struttura di Yongbyon, dove vengono prodotte armi atomiche. La seconda delle due promesse però resterà lettera morta “se gli Stati Uniti non adotteranno misure equivalenti”, ha aggiunto il leader nordcoreano. Nessun accordo sulla denuclearizzazione sarà possibile senza la partecipazione di Washington, nonostante stia aumentando la fiducia reciproca tra le due Coree. Questa fiducia non basterà se non saranno inclusi nel patto anche gli altri grandi protagonisti del gioco coreano: Usa, Cina e Russia. La normalizzazione dei rapporti tra Pyongyang e Washington è quindi fondamentale. Perché ci sia, è necessario che gli americani ripensino il loro approccio alla Corea del Nord e soprattutto mettano in cantina una volta per tutte la strategia della “massima pressione”. L’amministrazione Trump non ha raggiunto ancora risultati concreti dal vertice del 12 giugno a Singapore, durante il quale il presidente Usa aveva ottenuto da Kim un vago impegno a denuclearizzare. L’ostacolo principale alla pace sarebbe quindi dentro la stessa Amministrazione americana e non al di fuori di essa.
Il presidente sudcoreano Moon al contrario ha capito da tempo che focalizzare l’attenzione unicamente sul dossier nucleare non aiuta a costruire un solido dialogo con Kim. Anziché strappare dichiarazioni sensazionali su impegni troppo ambiziosi e irrealistici, Moon ha pensato a misure graduali che possano spegnere la tensione e arginare il rischio di un conflitto. L’attacco agli Stati Uniti da parte della Corea del Nord è stato spesso considerato un’ipotesi da film di fantascienza, dal momento che comporterebbe l’annientamento immediato della dinastia Kim e del suo potere. L’incidente militare circoscritto tra Corea del Sud e del Nord, che potrebbe condurre a una guerra di più vaste proporzioni, è invece il pericolo ad oggi più concreto. Per allontanarlo Moon e Kim hanno sottoscritto una serie di accordi tesi ad alleggerire la tensione militare lungo i due lati del confine. A partire dal 1 novembre verrà istituita una no fly zone a ridosso della linea del 38esimo parallelo e saranno interrotte le esercitazioni militari all’interno della zona demilitarizzata (DMZ) che separa le due Coree. Nord e e Sud hanno deciso di smantellare diversi dei posti di guardia installati negli anni nella DMZ e di creare un’area di pace nel Mar Giallo. Sono ancora in discussione però altre importanti misure come il blocco al transito delle navi da guerra e la sospensione delle esercitazioni militari lungo il Northern Limit Line (NLL), linea di confine marittimo tra le due Coree.
Queste misure sono solo un piccolo progresso nella direzione della pacificazione della penisola, ma costituiscono ad ogni modo un risultato dalla portata storica. Trump dovrà fare di tutto per rendere effettive queste misure e incoraggiare i due Paesi a proseguire lungo questo binario. L’aspetto più difficile della missione di Moon infatti non sarà tanto cercare di mantenere un buon livello di confronto con Kim, ma provare a convincere Trump che con la Corea del Nord sta andando tutto per il meglio. Per il capo della Casa Bianca sarà abbastanza complicato da accettare, considerato che Kim non ha interrotto il programma atomico e ogni segnale positivo fornito in questo senso è ritenuto reversibile.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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