Mentre la Danimarca si appresta ad approvare nuove leggi che parlano di vera «assimilazione» e non più solo di integrazione degli immigrati giunti nel Paese, in Svezia è “allarme rosso”. Uno stato di tensione testimoniato dalla presentazione, nelle scorse settimane, di un rapporto redatto dai ricercatori della Swedish Defense University sulla presenza crescente di islamisti nel Paese scandinavo.
Il report, intitolato Tra salafismo e jihadismo salafita. Impatto e sfide per la società svedese e alla cui stesura hanno partecipato tra gli altri figure note per la loro competenza come Magnus Ranstorp, è ritenuto “unico nel suo genere” in quanto per la prima volta è stata creata una vera mappatura dell’ambiente salafita-jihadista in Svezia.
Nelle 265 pagine del dossier si trovano centinaia di nomi, sigle e ampie descrizioni della metodologia che viene utilizzata per promuovere la versione più estrema dell’Islam in Svezia. Secondo l’indagine il numero degli estremisti islamici in Svezia è aumentato di dieci volte in altrettanti anni e il fenomeno, se non verrà contrastato seriamente, è destinato a crescere ulteriormente visto che i soggetti attenzionati dalle autorità sono passati in pochi anni da 200 a 2.000. Si tratta in molti casi di convertiti svedesi che si sono posti come missione la propaganda dell’islam rigorista e violento in diverse città svedesi. Il fenomeno dilaga non solo nella capitale Stoccolma, ma a Göteborg, Örebro, Malmö, Hässleholm, Halmstad, Arlöv, Landskrona, Norrköping e Umeå.
Il ruolo dei predicatori salafiti
Molto importante il ruolo delle moschee in continua espansione in Svezia, dove predicano anche imam estremisti (solo per citarne alcuni) come Abu Muadh, Bilal Borchali, Anas Khalifa e lo scaltro Abu Raad, il “costruttore di ponti” che con i soldi incassati dal sistema di welfare svedese è stato in grado di creare una propria organizzazione estremista.
Secondo i servizi segreti svedesi (Säpo) dalla Svezia sono almeno 300 i jihadisti che sono andati a combattere nel Siraq. Di questi, circa 40 sono morti in battaglia, mentre più di 100 sono tornati in Svezia. Cosa faranno adesso? Probabilmente alcuni di loro hanno ricevuto istruzioni per condurre attentati. La Säpo ammette il rischio: «I jihadisti possono infiltrarsi nel Paese mescolandosi con i rifugiati, considerato che il 90% dei richiedenti asilo politico ottiene la residenza permanente in Svezia». In Svezia come altrove, il vero catalizzatore dell’odio è il web con i social network e YouTube a fare da amplificatore alle idee omofobe, antisemite e antioccidentali propagate dai predicatori del male che arrivano nel Paese scandinavo anche dall’estero, soprattutto dai Paesi del Golfo Persico, dai Balcani e dalla Turchia. Il rapporto mette in luce aspetti molto interessanti come ad esempio il fatto che in Svezia il sostegno alla causa jihadista sia iniziato negli anni Novanta, periodo in cui numerosi jihadisti si spostarono da qui per andare a combattere in Afghanistan, Somalia e nei Balcani.
Viene poi sottolineato il ruolo, anche in Svezia, dell’organizzazione salafita nata in Germania “Die Ware Religion – LIES!”, fondata dal predicatore estremista palestinese Ibrahim Abou Nagie. Il gruppo, che ha fatto stampare 20 milioni di copie del Corano distribuendole gratuitamente in tutta Europa, è stato messo fuorilegge in Germania e Austria dopo una serie di inchieste della magistratura che hanno accertato che molti dei suoi affiliati sono partiti per andare a combattere in Medio Oriente. In Svezia l’organizzazione opera dal dicembre 2014 attraverso la “Al-Quran Foundation” di Malmö, associazione satellite che ha messo a disposizione mezzi finanziari e logistica necessari per la predicazione nelle strade e nelle piazze delle maggiori città svedesi. I barbuti volontari di “LIES!” si spendono per intere giornate piazzando banchetti ovunque dove indottrinano e convertono persone di ogni età alla religione di Maometto. Lo stesso fondatore del gruppo Nagie punta forte sulla Svezia, come dimostrano le sue ripetute visite nel Paese scandinavo.
Come contrastare l’estremismo islamico?
Ma qual è il motivo di tutto questo interesse? La Svezia, che è notoriamente conosciuta per essere una delle nazioni più disponibili nell’accogliere migranti economici e rifugiati al punto da essersi autodefinita una “superpotenza umanitaria”, nel 2050 potrebbe vedere materializzarsi un dato molto impressionante pronosticato dal Pew Research Center: il 31% della popolazione nazionale di religione musulmana.
Questo dato, sommato alla debolezza fin qui mostrata dalla classe politica svedese nell’affrontare il tema dell’islam radicale, fa ben sperare gli estremisti islamici. Tutto ciò accade mentre dalla società svedese arrivano segnali di insofferenza sempre più forti verso le politiche multiculturaliste su cui i governi che si sono succeduti negli ultimi decenni hanno puntato. Si spiega così l’aumento dei consensi nei confronti dei partiti dell’estrema destra che hanno gioco facile nel denunciare quanto accade nelle “no-go-zone” come Rosengård, Rinkeby e nelle altre 53 aree urbane che di fatto sono delle repliche delle tristemente note “ZUS” francesi (zone urbaine sensible).
Alla Swedish Defense University va riconosciuto il merito di aver analizzato un fenomeno, quello dell’estremismo islamico in Svezia, di cui pochi parlano. Alla politica svedese spetta invece il compito più importante: cogliere i timori degli analisti e intervenire con decisione. Ammesso che si possa ancora fare qualcosa.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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