A fermare il fiume di denaro che arriva in Svizzera dal Golfo Persico e dalla Turchia ci ha recentemente provato, senza fortuna, Lorenzo Quadri, deputato della Lega dei Ticinesi nel Consiglio Nazionale Svizzero. Quadri ha presentato una proposta di legge che, se fosse stata approvata, avrebbe fatto scattare il divieto di finanziamenti esteri diretti ai luoghi di culto e alle associazioni islamiche il cui numero continua a crescere indisturbato nel Paese elvetico.
In questo periodo il Ministero degli Affari Religiosi turco (Diyanet) è particolarmente attivo. In tutta Europa non si contano più i progetti che prevedono l’apertura di scuole di stretta osservanza nazional-islamista, così come si è perso il conto delle continue ingerenze degli uomini del presidente Recep Tayyip Erdogan anche nelle università svizzere, dove si sono palesati più volte di recente agenti del MIT (Millî İstihbarat Teşkilâtı), i servizi segreti turchi a caccia di “nemici” – o presunti tali – del regime di Ankara. Non va dimenticato che l’intelligence turca, dopo il tentato golpe del luglio 2016, è stata ristrutturata e posta sotto il diretto controllo del presidente Erdogan.
L’ultimo episodio testimone della gravità di quanto sta accadendeo nella Confederazione svizzera si è registrato lo scorso 20 maggio. La città di Sciaffusa ha dato il via libera alla costruzione di una nuova grande moschea. L’edificio che si chiamerà Aqsa e costerà, secondo i promotori dell’iniziativa, 1,3 milioni euro, sarà lungo 30 metri, largo 16 e alto 12 e disporrà al suo interno di ogni tipo di comfort. Due sale per pregare, con rigorosa separazione fra uomini e donne, spazio per la formazione dei giovani e un asilo nido.
Il progetto segue alla lettera i dettami di Erdogan, il quale più volte ha invitato gli immigrati turchi residenti in Europa a non integrarsi in modo da mantenere salda l’identità nazional-islamista custodita dal partito di governo AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) e dall’associazione islamica Millî Gorüs, attivissima nel Vecchio Continente e in particolare in Svizzera. Erdogan pensa in proposito che «in un sistema segnato da unitarietà il presidenzialismo può funzionare in modo perfetto. Vi sono diversi esempi nel mondo e nella storia, come quello della Germania di Hitler». Tutto l’onere economico del progetto di Sciaffusa sarà a carico della fondazione Tiss, il che esclude sulla carta l’utilizzo di fondi esteri. Tuttavia il terreno dove sorgerà la nuova moschea è di proprietà di Millî Gorüs, organica al Ministero del Culto turco. Il presidente della fondazione Tiss è il teologo Ali Erbas, consulente di Erdogan, il quale ha chiarito che gli imam a Sciaffusa saranno scelti, inviati e retribuiti dal Diyanet.
Per tornare alla proposta di Lorenzo Quadri, il Consiglio Nazionale Svizzero ha respinto seccamente con 29 voti contrari, 7 a favore e 4 astenuti il testo della sua proposta. Eppure l’atto rimandato al mittente, e alle migliaia di cittadini preoccupati che vorrebbero norme stringenti in materia, prendeva esempio da quanto deciso in Austria, dove esiste l’obbligo di trasparenza in merito alla provenienza e all’utilizzo di denaro per la costruzione di luoghi di culto. Inoltre, sempre in Austria esiste anche l’obbligo di dover tenere i sermoni nella lingua locale. Il motivo di questa stretta da parte del governo viennese è semplice: negli ultimi tre anni 270 austriaci, per larga parte di origine cecena, sono andati a combattere in Siria e in Iraq sotto le molteplici bandiere dell’estremismo islamico, dopo essersi radicalizzati nelle moschee austriache.
Nella risposta data alla mozione di Quadri si rileva «che gli strumenti legali disponibili (in Svizzera, ndr) siano sufficienti per combattere i rischi rappresentati dalle comunità e dai predicatori islamici estremisti. Ciò non esclude eventuali inasprimenti mirati del diritto». Secondo i media svizzeri, il governo elvetico non ritiene tuttavia né necessaria né sensata una limitazione massiccia dei diritti fondamentali come quella chiesta nella mozione. Non si giudica quindi urgente intervenire in quanto «è possibile porre un freno in altro modo all’attività delle comunità e dei predicatori islamici estremisti, grazie alla nuova legge sulle attività informative e al piano d’azione nazionale per prevenire e combattere la radicalizzazione e l’estremismo violento». Peccato che a pagina 7 del citato piano si affermi che «tenendo conto delle valutazioni degli esperti e degli altri lavori in corso, si è per esempio rinunciato a elaborare misure relative all’introduzione di un registro nazionale dei detenuti e al disciplinamento della trasparenza finanziaria delle comunità religiose». Insomma, se non ci saranno nuove misure legislative idonee a mantere la pressione esterna di Paesi come la Turchia, per la Svizzera si prevedono tempi duri.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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