John Walker Lindh, anche detto il “talebano americano”, è stato liberato dopo aver scontato 17 anni di carcere invece di 20. Lindh era stato arrestato nel mese di novembre 2001 in seguito agli attentati dell’11 settembre. Catturato in Afghanistan dalle forze alleate degli Usa durante l’invasione americana, si era unito ai talebani nel maggio del 2001 dopo essersi convertito alla religione islamica. Nel mese di aprile del 2019 un giudice federale della Virginia gli ha concesso la libertà vigilata, stabilendo che potesse uscire dal carcere con tre anni di anticipo rispetto alla pena prevista. La sua liberazione ha riportato all’attenzione dei media il problema del reinserimento sociale degli individui con un passato da estremisti. John Walker Lindh, oggi 38enne, sarebbe ancora un pericolo per la società perché non si sarebbe pentito. Secondo altri invece, all’epoca dell’addestramento in Afghanistan era solo un adolescente ideologizzato e non completamente consapevole delle sue azioni, forse una vittima dei suoi tempi e di chi avrebbe scaricato su di lui la rabbia post 11 settembre.
Il caso Lindh si apre il 25 novembre del 2001, quando alcuni membri della CIA scoprono un ragazzo di 19 anni con la barba, che stranamente parla l’inglese, in un gruppo di prigionieri talebani. Poi, viene fuori che il ragazzo è americano. Lindh viene catturato e imprigionato a Qala-i-Jangi, nel nord dell’Afghanistan. Poche ore dopo la sua cattura, si salva da una rivolta scoppiata nel carcere in cui muoiono 500 prigionieri e l’agente 32 enne della CIA Johnny Michael Spann. L’episodio farà molto rumore perché Spann è la prima vittima statunitense del conflitto in Afghanistan. L’anno successivo Lindh viene trasferito in una prigione americana e condannato a 20 anni di carcere. Negli Stati Uniti è un traditore, uno che è passato dall’altra parte, e sui di lui si scaglia il popolo degli Usa sconvolto dagli attacchi. La storia colpisce l’America perché Lindh è il primo di una lunga serie di foreign fighter partiti dagli USA per andare a combattere la guerra santa.
Lindh racconta all’FBI di essersi convertito alla religione islamica dopo aver visto il film Malcolm X. A quei tempi è un ragazzino benestante della periferia si Marin County, in California, e sembra aver avuto tutto dalla vita: denaro, dei genitori che lo amano, la possibilità di un’istruzione e un bell’aspetto fisico. Invece, nel 1998, ancora minorenne, lascia tutto per andare a studiare l’arabo in Yemen, con il consenso dei genitori. Poi è la volta del Pakistan, in quel periodo Lindh entra a far parte di un gruppo paramilitare che combatte per l’indipendenza del Kashmir dall’India. A quel punto, si sposta in Afghanistan e da quel momento in poi i genitori perdono i contatti con lui. Verranno a sapere del figlio in un servizio alla tv in successivo alla sua cattura. In Afghanistan Lindh viene spostato nel gruppo in cui si parla l’arabo come lingua franca e partecipa agli addestramenti dei combattenti di al Qaeda in un campo a Kandahar. Lì impara a fabbricare esplosivi e sempre lì incontra almeno una volta Osama bin Laden, con il quale scambia qualche parola. In quell’occasione Osama bin Laden ringrazia personalmente Lindh e altri foreign fighter per essersi uniti alla causa jihadista. Tutto viene raccontato dagli agenti dell’FBI. I reati attribuiti al “talebano americano” sono aver violato un ordine esecutivo del presidente Clinton che proibiva il supporto ai talebani e aver trasferito armi in Afghanistan. Lindh smentisce di essere stato torturato dagli agenti americani e rilascia una dichiarazione preparata in cui condanna il terrorismo a ogni livello.
Foreign Policy nel 2017 ripercorre i passi fondamentali della storia. Il giornale viene in possesso di due documenti esclusivi, uno dei quali è del National Counterterrorism Cente. In questo documento il 36 enne Lindh viene ancora descritto come un estremista violento e quindi una minaccia per la sicurezza nazionale, visto l’alto rischio di essere recidivo. Lindh “ha continuato a sostenere la jihad globale scrivendo e traducendo testi estremisti”, si sostiene. In un secondo documento, un rapporto del Federal Bureau of Prisons, si afferma inoltre che Lindh ha giurato fedeltà al sedicente Stato Islamico.
Marc Sageman, ex ufficiale della CIA ed esperto di terrorismo, nel 2017 afferma sempre a Foreign Policy che su Lindh c’è stato un accanimento, anche se non sminuisce la gravità delle azioni di “Johnny il talebano”. «Il Paese era pronto a linciarlo, ma io non lo considero un terrorista», dice Sageman. Nel 2009 il padre di Lindh, professore a San Francisco, cerca di farlo passare come un giovane mosso da buone intenzioni, in un’intervista per GQ dice: « Sono orgoglioso di mio figlio». Nel 2016 lo scrittore Paul Theroux in un editoriale pubblicato sul New York Times chiede apertamente che gli venga commutata la pena. Theroux paragona la storia del ragazzo alla sua esperienza giovanile a supporto dei ribelli in Malawi negli anni 60. Per lo scrittore, Lindh ha agito nella convinzione di aiutare un popolo che percepiva come oppresso e sarebbe stato sovrastato dagli eventi.
Il regime di libertà vigilata non permette a Lindh l’accesso a internet e alle comunicazioni non in lingua inglese, senza previa autorizzazione degli agenti che lo sorvegliano. Il 38 enne, che intanto ha ottenuto la cittadinanza irlandese, in base alle disposizioni del giudice non potrà viaggiare all’estero. Per il segretario di Stato Mike Pompeo, la sua liberazione è “incomprensibile” perché si sa benissimo che Lindh è un soggetto pericoloso e radicalizzato.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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