Nelle scorse settimane il presidente degli Stati Uniti Trump ha raddoppiato l’accordo da 500 miliardi di dollari sui metalli rari con l’Ucraina inviando una nuova proposta di trattato dopo che il suo omologo ucraino Zelenskiy si era lamentato della eccessiva severità della prima versione. Trump ha presentato una nuova offerta ancora più iugulatoria della precedente: la pace cartaginese, la si chiamava in altri tempi.
Zelensky si è lamentato apertamente della «sovrattassa» di 50 miliardi di dollari su ogni 100 ricavati dai minerali ucraini teoricamente disponibili, previa la creazione di miniere e la costruzione di impianti. Nel frattempo la Federazione russa ha fatto capire di essere disposta a cedere i suoi 300 miliardi di dollari congelati come parte dell’accordo a patto che essi vadano spesi, tra le altre cose, per riqualificare le regioni ucraine annesse. Putin ha anche ordinato al suo governo di preparare la strada per il rientro delle aziende occidentali. Un nome tra gli altri: Boeing, che ha urgenza di acquistare titanio.
Trump si porta a livello personale gli strascichi della vicenda Hunter Biden in Ucraina (responsabile del primo empeachment) ma continuerebbe a tenere la porta aperta al governo ucraino perché, si legge sui media, vuole le sue terre rare. Ma di quali terre rare disporrebbe l’Ucraina? Il territorio ha prevalentemente metalli tra cui notevoli depositi di litio, titanio e rame che non sono «rari» ma, anche se «normali», giocano un ruolo finemente strategico perché Washington vuol essere «almeno due generazioni davanti» agli altri Paesi quando si tratta di sviluppare le nuove tecnologie. Che si nutrono, però, soprattutto di terre rare, quel gruppo di 17 elementi in fondo alla tavola periodica (più lo scandio e l’ittrio della terza colonna, se li cercate) e, fuor di metafora scientifica, in mano cinese.
Il Congresso americano aveva indicato tempo addietro che il livello di produzione di metalli di terre rare su suolo statunitense era attualmente «nullo». A questo si aggiunga un’imprecisione derivata da un rapporto del Centro di eccellenza per la sicurezza energetica della NATO dove si sostiene che l’Ucraina dispone di una pletora di terre rare che varrebbero trilioni di dollari. Il rapporto elenca anche una serie di metalli e minerali, ma nessuno degli elementi citati era veramente una delle terre rare.
Anche se l’Ucraina non ha terre rare preziose quali titanio e rame, dispone però di abbondanti riserve di litio e grafite. Un valore di riferimento per i depositi ucraini si aggira intorno ai 775 miliardi di dollari, molto lontano dai 2-7 trilioni indicati dal senatore repubblicano Lindsey Graham. Ma l’Ucraina è in grado di sfruttare queste risorse? Secondo Bloomberg il Paese ha il quarto maggior giacimento di rame in Europa (valore teorico 340 miliardi di dollari) ma non dispone ancora di miniere. Mentre le sue riserve di titanio valgono circa 420 miliardi di dollari, e l’anno scorso ha esportato fanghi di titanio che hanno fruttato un misero ricavo di 11,6 milioni di dollari. Questo perché non ha la tecnologia per produrre la ben più preziosa spugna di titanio, usata per la costruzione degli aeroplani. Questi sono puri dati che non tengono conto di altri imponderabili (escalation cinese, per esempio) che porterebbero l’Ucraina a guadagnare meno di 100 milioni di dollari dall’esportazione dei suoi minerali strategicamente rilevanti nel 2024. Si tratta di una sorta di “giacenza” ancora nel terreno e non sfruttata. L’Ucraina esporta anche uranio grezzo, non quello raffinato che è invece produzione specificamente russa.
In conclusione l’accordo di Trump sui minerali per 500 miliardi di dollari sarà di complessa se non irrealistica realizzazione. Il punto non è tanto la richiesta degli USA di assorbire il 50% del monte ricavi, ma semmai come far materializzare i miliardi necessari per costruire dal nulla gli impianti e le miniere di lavorazione per le materie prime. I progressi della rivoluzione scientifica, dalla spinning jenny al battello a vapore, andarono velocemente ma gradualmente. Qui invece siamo per l´Ucraina a un motus in fine velocior: se paga per costruire gli impianti e le miniere si indebita (al confronto la trappola del debito cinese sarà una carezza); se le fa costruire a terzi perde tecnicamente e legalmente voce in capitolo. Costruire un impianto richiede più tempo che asfaltare le strade di campagna cinese negli anni Ottanta. A Trump è stato venduto, machiavellicamente, un deal insoddisfacente, perché invece di prelevare damned cash dall’Ucraina avrebbe diritto a soli 50 milioni di dollari per il 2024 e gli USA dovranno investirli per anni prima di vedere un ritorno importante. È verosimile che quando Trump avvertirà questa dinamica abbandonerà l’affare delle terre rare ucraine.
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