L’islam radicale torna a colpire alla vigilia delle festività pasquali con il metodo classico dei “lone wolwes”, i cosiddetti lupi solitari che spesso proprio solitari non sono. In pochi giorni Francia e Italia hanno vissuto ore di preoccupazione e terrore. Da settimane la galassia islamista ribolle sulle autostrade digitali del web: «Attaccateli, fate il maggior numero di crociati morti».
La prima risposta è arrivata il 23 marzo scorso a Carcassonne e a Trèbes, dipartimento di Aude, lontano quindi dalle banlieue ad altissimo tasso di immigrazione e delinquenza comune. Qui ha colpito Redouane Lakdim, marocchino di 26 anni, che ha ucciso 4 persone e ne ha ferite altre 15 prima di essere freddato dalle teste di cuoio francesi. L’azione è stata subito rivendicata dallo Stato islamico, considerato sconfitto in maniera forse troppo precipitosa.
Le ultime operazioni antiterrorismo in Italia
In Italia qualche giorno dopo, tra il 28 e il 29 marzo, alcune operazioni antiterrorismo hanno disarticolato una rete terroristica pronta a colpire con dei camion bomba. Nella prima 13 perquisizioni domiciliari in diversi piccoli centri del nord Italia hanno portato allo smantellamento di una cellula che aveva come leader il 23enne di origine marocchina Elmahdi Halili, che da poco aveva ricevuto la cittadinanza italiana e che adesso è finito in carcere con la pesante accusa di «partecipazione all’associazione terroristica dello Stato Islamico». Tra le altre cose, Halili è stato anche l’autore-traduttore del primo testo di propaganda dell’ISIS in Italia, intitolato Lo Stato Islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare.
Al pari di Lakdim, Halili non viveva in una grande città ma risiedeva in provincia, a Lanzo, piccolo centro del canavese in Piemonte. Il ragazzo, che passava la sue giornate sul web, era in contatto con diversi estremisti islamici tra i quali anche alcuni convertiti italiani già incappati in vicende giudiziarie come Luca Aleotti (soprannominato “la Spada di Allah”), il quale aveva convinto Halili a compiere «l’atto di forza».
Appena condotto in questura, nel dimenarsi Halili ha gridato: «vado in prigione a testa alta, giuro su Allah tiranni che non siete altro». Chi pensava a un suo ravvedimento dopo che nel 2015 aveva patteggiato una condanna a due anni per la sospensione della pena per «istigazione a delinquere con finalità di terrorismo», è rimasto deluso. Specie i suoi familiari che lo avevano supplicato più volte di non ripiombare nella spirale dell’odio salafita.
Nella seconda operazione, invece, è stata scoperta molto probabilmente la rete italiana dell’attentatore di Berlino Anis Amri, che il 19 dicembre del 2016 uccise 12 persone investendole con un camion sul mercatino di Natale a Breitscheidplatz, Berlino, e che all’epoca venne bollato frettolosamente come un lupo solitario.
Bilancio del blitz 5 arresti tra Roma, Latina, Napoli e Caserta. Le intercettazioni raccolte dagli inquirenti sono agghiaccianti («Tagliamo la teste e i genitali», tra i passaggi ascoltati), i reati contestati sono pesantissimi: «addestramento e attività con finalità di terrorismo internazionale» e «associazione per delinquere finalizzata alla falsificazione di documenti ed al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». Gli inquirenti si stanno muovendo ad ampio raggio con perquisizioni nelle province di Latina, Roma, Viterbo, Caserta, Napoli, Matera e Sesto San Giovanni dove era diretto Amri la notte che venne intercettato e ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia il 23 dicembre del 2016.
A tradire le persone arrestate è stata la loro smania di acquistare armi, fatto questo che forse potrebbe averli esposti a qualche delazione da parte di elementi della criminalità comune o di quella organizzata, tutte realtà che non amano certo il clamore delle spettacolari inchieste antiterrorismo.
Gli arrestati sono quattro tunisini – Akram Baazaoui, Mohamed Baazoui, Dhiaddine Baazaoui e Rabie Baazoui – e il pericolosissimo palestinese (già in carcere) Abdel Salem Napulsi.
Nemmeno il tempo di orientarsi per registrare quanto accaduto che il 29 marzo un cittadino algerino, il 22enne Othman Jridi – arrivato in Italia dopo essere stato espulso dalla Francia, poi espulso dal questore di Cagliari ma rimasto sul suolo italiano – ha tentato di investire dei passanti a nei pressi del Santuario di Pompei. «L’ho fatto nel nome di Allah», ha detto dopo il fermo avvenuto al termine di una breve quanto improbabile fuga.
Le massicce fioriere in cemento armato, piazzate davanti al Santuario di Pompeio per evitare atti terroristici, hanno impedito una strage.
Le operazioni antiterrorismo proseguono come dimostra l’ultimo arresto avvenuto questa mattina a Cuneo del 19enne Ilyass Hadouz, residente a Fossano. A mettergli le manette sono stati i carabinieri del ROS e gli agenti del Comando provinciale di Cuneo. Sui social network Hadouz scriveva: «è deprimente morire di vecchiaia» e ancora «ai miscredenti saranno destinati giorni neri che faranno imbiancare i capelli ai bambini».
Le province del Jihad
In Italia e in Francia le province sono diventate la nuova frontiera dell’Islam radicale, piccoli paesi anche di campagna da dove sono partiti in molti negli ultimi anni per andare a fare la “guerra santa” in Siria e Iraq. Un esempio su tutti è quello del piccolo paese francese di Artigat, 600 anime alle falde dei Pirenei, che fin dalla fine degli anni Ottanta grazie alla presenza del siriano Abdel Ilat Al-Dandachi, alias Olivier Corel detto “L’Emiro bianco”, arrivato nel 1973 come rifugiato politico (il padre di Bashar Assad lo voleva morto perché già allora era membro della Fratellanza Musulmana), divenne uno dei più importanti luoghi di radicalizzazione francese.
È grazie a Corel che nacque la “filiera di Artigat”, dove si formarono molti jihadisti come Jean-Michel e Fabien Claim, Abdelkader e Mohamed Merah (autore della strage di Tolosa del 2012), Sabri Essid, il convertito Thomas Barnouin (jihadista catturato dai curdi in Siria nel 2017), Sid Ahmed Ghlam e moltissimi altri.
I problemi della Francia
Se si guarda alla drammatica sequenza di attentati con morti e feriti in Francia degli ultimi anni, la sensazione è quella di un Paese in preda al panico nonostante l’adozione della nuova legge antiterrorismo lo scorso primo novembre. Nell’Esagono sono più di 20.000 – ma c’è chi dice che siano 30.000 – le persone ritenute radicalizzate e pronte alla violenza, e 1.700 i foreign fighters partiti in questi anni per il “Siraq” dei quali almeno 500 caduti in battaglia. E gli altri? Sono rientrati in patria o sono in attesa di farlo, fatto che è a dir poco preoccupante. A peggiorare la situazione c’è poi la questione aperta dei bambini figli di miliziani (donne e uomini) francesi.
Come gestire tutta questa gente? Non basta dire che non possono rientrare in patria, perché prima o poi torneranno e allora che accadrà? Questi numeri spingono i più pessimisti a ritenere la battaglia già persa in partenza se si considera il continuo proliferare di moschee (300 in costruzione ) finanziate da sauditi, turchi ed emiri di vari stati del Golfo come il Qatar.
La situazione in Italia
Per quanto riguarda l’Italia i numeri sono certamente più contenuti di quelli francesi. Vediamoli. La Direzione centrale della Polizia di prevenzione stima i foreign fighters italiani in 129 individui, 117 uomini e 12 donne. Gli italiani (compresi gli stranieri con doppio passaporto) sono 24 (di questi 13 si sono convertiti all’Islam). Dei 24 italiani, 7 sono donne (6 delle convertitesi all’Islam). I caduti in battaglia sono 42, anche se è probabile che siano molti di più. Ventitré sono rientrati in vari Paesi dell’Unione Europea e 11 in Italia (4 sono in carcere). Se le cifre non destano particolare preoccupazione visto anche l’altissimo valore delle istituzioni italiane delegate alla sicurezza forgiatesi nelle lotte alla mafia, al terrorismo politico di destra e di sinistra, i flussi migratori degli ultimi anni stanno cambiando decisamente la situazione. Dalle 66 espulsioni del biennio 2015- 2016 si è passati alle 105 del 2017 e tra il 2014 e il 2017 sono stati 16 i predicatori islamici espulsi dall’Italia. Ma ci non solo le espulsioni di imam e simpatizzanti. Gli ultimi arresti effettuati a Foggia e Torino dimostrano in maniera inequivocabile la presenza sempre più ramificata in territorio italiano di veri e propri reclutatori che vogliono la morte degli “infedeli” italiani.
Mettere in campo indagini sui “predicatori del male” non è una cosa semplice nemmeno in Italia. Per quale motivo? Le moschee “ufficiali” in Italia sono quelle di Roma, Ravenna, Colle Val d’Elsa e Segrate (Milano), e fin qui sarebbe semplice il compito. Ma chi controlla gli oltre 800 centri islamici utilizzati (detti musalla) come moschee e le moschee illegali (più di 1.000) spesso ubicate in appartamenti, ex capannoni industriali, magazzini, negozi e persino scantinati?
Impossibile conoscere le loro attività, sapere chi sono gli imam che le frequentano e quale visione dell’Islam professano. Impossibile, o quasi, avere un quadro delle loro attività. Poi ci sono le associazioni culturali islamiche, 50 delle quali sono state chiuse per irregolarità edilizie o amministrative di vario genere.
Altro aspetto da considerare è capire quali sono i target puntati dagli imam salafiti. Certamente gli emarginati, o comunque coloro che vivono in condizioni di disagio, tra i 2.520.000 musulmani che vivono in Italia (il 4% di tutta la popolazione italiana, di cui il 43% con cittadinanza italiana e il 57% di nazionalità straniera secondo i dati forniti dalla Fondazione Ismu in collaborazione con Orim Lombardia, e integrati con gli ultimi dati forniti dall’ISTAT e dal ministero dell’Interno).
La mappa dell’islam radicale in Italia sta rapidamente cambiando e cresce nelle province di Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Bologna, Ferrara, Ravenna, Reggio Emilia, Verona, Udine, Pordenone, Venezia, Torino, Roma e in altri centri del Nord e Centro Italia. Ma non solo. C’è preoccupazione anche a Bari, Cagliari, Foggia, Frosinone, Macerata, Bari, Sassari. Proprio in Sardegna si era strutturata un cellula salafita che voleva uccidere in Vaticano Papa Benedetto XVI con un’azione spettacolare.
C’è di tutto nell’estremismo islamico “made in Italy”: Stato islamico, Al Qaeda, Jabhat al Nusra. Ci sono molti Paesi d’origine coinvolti: Tunisia, Marocco, Algeria, Pakistan, Bangladesh e i Balcani, autentica fabbrica di estremisti. Se la Francia ha perso la sua battaglia, l’Italia ha la capacità di vincerla e per il bene dell’Europa c’è da sperare che ci riesca.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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