In una continua escalation del conflitto in corso nella regione del Tigrai etiopico, nella notte tra il 13 e il 14 novembre alcuni missili sono stati lanciati contro la capitale eritrea dell’Asmara, apparentemente senza provocare danni significativi.
L’attacco è stato rivendicato il mattino successivo dal governatore della regione “ribelle” del Tigrai, Debrestion Gebremichael, che ha confermato l’intenzionalità dell’attacco, sferrato secondo il TPLF contro il ministero dell’informazione, l’aeroporto e un’area residenziale nel nord-ovest della capitale.
Nessuna conferma da parte del governo eritreo, invece, sebbene da più parti la notizia dell’attacco sia stata documentata e commentata, minimizzando la portata dei danni subiti.
L’attacco missilistico tigrino segue di sole ventiquattr’ore quello sferrato contro gli aeroporti di Gondar e Bahir Dar, nel tentativo di regionalizzare e al tempo stesso internazionalizzare il conflitto, con l’obiettivo di guadagnare tempo contro le forze federali e stimolare l’interesse e possibilmente l’iniziativa della comunità internazionale.
L’Eritrea e la regione dell’Amhara sotto attacco missilistico dal Tigrai
Il governo federale etiopico ha comunicato che gli aeroporti di Gondar e Bahir Dar, entrambi nella regione Amhara, sono stati interessati da attacchi missilistici condotti dalle forze tigrine nella giornata di venerdì 13 novembre. L’aeroporto di Gondar sarebbe stato raggiunto da un missile, che avrebbe provocato danni all’aerostazione, mentre quello lanciato verso lo scalo di Bahir Dar avrebbe mancato l’obiettivo finendo in una zona disabitata a poca distanza dallo scalo.
Il lancio dei missili sembrerebbe essere stato confermato dallo stesso portavoce delle forze del Tigray People’s Liberation Front (TPLF), Getachew Reda, secondo il quale il lancio sarebbe avvenuto dallo stesso territorio Amhara, come ritorsione per gli attacchi aerei subiti in più aree del Tigrai. Il giorno successivo, tuttavia, nel corso di un’intervista all’Agenzia France Press, il governatore del Tigrai Debrestion Gebremichael avrebbe rivisto la propria posizione, sostenendo di non avere alcuna informazione in merito, sebbene aggiungendo che “ogni aeroporto utilizzato per colpire il Tigrai è un obiettivo legittimo”.
Il comunicato del portavoce del TPLF e del governatore hanno seguito di poche ore quello di Sekuture Getachew, esponente di spicco del partito di governo del Tigrai, che nel corso di un programma televisivo ha parlato di un “attacco preventivo” condotto il 3 novembre dalle forze del TPLF contro obiettivi militari federali. L’attacco in questione, nella periferie della capitale regionale di Macallè, ha poi determinato l’intervento delle forze armate e l’escalation nel conflitto.
Nella notte tra il, 13 e il 14 novembre, invece, un nuovo attacco missilistico è stato lanciato contro la capitale dell’Eritrea, Asmara, venendo poi confermato poche ore dopo dal governatore del Tigrai, Debrestion Gebremichael, secondo il quale sarebbero stati colpiti l’aeroporto internazionale, il ministero dell’informazione e un’area residenziale nel nord-ovest della capitale.
Nessuna conferma ufficiale è giunta dall’Eritrea, sebbene numerose fonti locali abbiano confermato le esplosioni nelle periferie della capitale, senza confermare la presenza di vittime o danni.
Non è chiaro quale tipo di missili siano stati impiegati contro Gondar e Bahir Dar prima (che distano circa 200 Km dal confine regionale col Tigrai) e l’Asmara poi (che dista circa un centinaio di chilometri dal più vicino punto di lancio possibile sul territorio del Tigrai), ma il primo ministro etiopico Abiy Ahmed ha confermato in un’intervista rilasciata alla Ethiopian Broadcasting Corporation lo scorso 5 novembre che il Tigrai disporrebbe di missili e veicoli per la guida radar capaci di una portata pari a circa 300 Km.
Scarne indicazioni provengono anche dal Tigrai, dove tuttavia il governatore Debrestion Gebremichael avrebbe confermato la disponibilità di numerosi missili nei propri arsenali e l’intenzione di impiegarli contro qualsiasi “obiettivo legittimo” coinvolto nel conflitto. Non ha avuto seguito, invece, l’informazione fornita alla stampa dal portavoce del TPLF Getachew Reda secondo la quale i lanci – almeno quelli verso Gondar e Bahir Dar – sarebbero stati condotti da unità penetrate nel territorio della regione Amhara, lasciando in tal modo intendere la capacità non solo di movimento delle proprie unità militari ma anche la scarsa capacità di contrapposizione tanto delle unità federali quanto di quelle della locale amministrazione regionale.
Il Tigrai e l’internazionalizzazione del conflitto
L’evoluzione del conflitto tra le forze del Tigrai e quelle dell’esercito federale etiopico non è agevolmente valutabile in questa fase, stante l’assenza di informazioni ufficiali e di informazioni aggiornate e affidabili sul fronte della stampa, anche in conseguenza dell’ancora intermittente funzionamento delle reti telefoniche e delle connessioni via internet.
La linea del fronte terrestre sembra aver subito modeste variazioni nel corso degli ultimi giorni, sebbene le forze federali agli ordini del Magg. Gen. Bleay Seyoum, comandante della Divisione Settentrionale, sembrerebbero aver ripreso l’iniziativa sia ad Axum che a Scirè, dove tuttavia non è chiaro quanta parte del territorio, e soprattutto dei centri urbani, sia sotto il controllo delle unità federali o di quelle delle autorità del Tigrai.
Le forze federali sono impegnate in una massiccia campagna di bombardamento aereo in diverse aree del Tigrai, colpendo principalmente i depositi militari e le unità dispiegate sul terreno, con l’intento di atrofizzare la capacità operativa dell’avversario e rendere impossibili i rifornimenti.
Sul terreno, al contrario, il controllo del territorio sembra essere caratterizzato da continue mutazioni della linea del fronte, in conseguenza di attacchi e contrattacchi che rendono molto instabile la capacità di controllo tanto dell’una quanto dell’altra parte.
L’obiettivo primario del governo federale è quello di spezzare la continuità logistica delle forze del Tigrai, soprattutto attraverso il controllo dei principali assi viari (le diramazioni occidentali C35 da Gondar a Humera e la B30 da Gondar ad Adua, entrambe solo parzialmente asfaltate, e ad est la A2 da Addis Abeba ad Axum, quasi interamente asfaltata).
Per sopperire alla carenza di unità militari addestrate e ben equipaggiate sul fronte della regione dell’Amhara, il governo di Addis Abeba ha ordinato lo spostamento della gran parte delle proprie unità oggi impegnate nel dispositivo AMISOM in Somalia verso il confine con il Tigrai, sostituendole con unità provenienti dalla regione del Somali, delle quali non si conosce la reale capacità operativa.
Le principali difficoltà del premier Abiy Ahmed nella condotta del conflitto sono in questo momento essenzialmente tre.
La prima è connessa alla stabilità interna del paese e alla tenuta unitaria delle forze armate. Non è solo la crisi del Tigrai a preoccupare il vertice politico dell’Etiopia, che anche nella regione dell’Oromia, del Somali e dell’Ahmara deve fronteggiare istanze etniche e autonomiste che sempre più confliggono con la strategia centralista e unitaria del governo federale presieduto da Abiy Ahmed.
Le diverse crisi regionali si riflettono in modo diretto sulla capacità di tenuta unitaria delle forze armate, dove il peso dell’appartenenza etnica rappresenta una variabile di non secondaria importanza, e che potrebbe determinare fratture e insubordinazioni di difficile gestione da parte dell’autorità federale.
La seconda difficoltà è invece connessa alla durata del conflitto e alla capacità di poterne sostenere il peso politico sul piano nazionale e internazionale.
La prospettiva di un’operazione rapida e risolutiva per ristabilire l’autorità nel Tigrai e annullare il potenziale di rischio rappresentato dal locale partito di governo, il TPLF, sembra al momento essere sfumata. La resistenza delle locali forze militari, la fragilità politica del governo etiopico e più in generale il tentativo di internazionalizzare il conflitto da parte di Macallè possono facilmente trasformarsi in variabili capaci di mutare la tempistica dell’azione militare, incrementando in tal modo esponenzialmente i rischi sul piano della coesione politica interna attorno alla linea politica del premier Abiy Ahmed.
La terza difficoltà è invece quella connessa al tentativo del vertice politico del TPLF di portare lo scontro militare ad interessare tanto il piano regionale quanto quello internazionale. L’aver colpito la capitale dell’Eritrea con un attacco missilistico è in linea con una visione politica che considera l’Eritrea parimenti responsabile per il conflitto in atto e ad una visione strategica volta a determinarne un diretto coinvolgimento sul piano militare.
Al tempo stesso, senza mezzi termini le autorità del TPLF hanno accusato gli Emirati Arabi Uniti di essere coinvolti nel conflitto avendo fornito propri droni armati dislocati sulla base aerea di Assab, nel sud dell’Eritrea, manifestamente sostenendo le forze federali e il progetto politico e militare di Abiy Ahmed.
Questo tentativo di internazionalizzare il conflitto rischia da un lato di aprire un secondo fronte per il Tigrai, esponendolo al rischio di una rapida sconfitta, sebbene, nell’ottica del TPLF sia invece funzionale a determinare l’interesse e l’intervento della comunità internazionale al proprio fianco, denunciando le violenze del governo federale e imponendo un cessate il fuoco.
Per ottenere questo risultato, il TPLF insiste nella sua narrativa anche su altri due precisi argomenti. Il primo è quello della a sussistenza di una sorta di pulizia etnica nei confronti della popolazione del Tigrai e il secondo è invece quello di una catastrofe umanitaria in corso in Sudan in conseguenza dei flussi di profughi dalla regione.
Se parlare di pulizia etnica contro la comunità tigrina appare al momento un’esasperazione dei timori del TPLF, non può essere taciuto e negato come da più parti siano segnalati episodi di soprusi, violenze, esautorazioni e più in generale criminalizzazioni a danni di numerosi tigrini residenti al di fuori del Tigrai, alimentandosi facilmente la narrativa di una diffusa politica di ostilità etnica.
Sul versante dell’emergenza profughi, certamente reale, è necessario segnalare come secondo fonti citate dall’ONU, ma allo stato attuale di difficile verifica, il numero di profughi che avrebbe varcato il confine con il Sudan nel corso dell’ultima settimana sarebbe compreso tra i 7.000 e i 9.000 individui, sebbene alcune agenzie umanitarie abbiano parlato del timore di un numero ben più alto, compreso tra i 15 e 20.000 profughi.
Pubblicato sul blog di Nicola Pedde per L’HuffPost
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