Il Cio è d’accordo a spostare i Giochi di Tōkyō all’estate del 2021 a causa dell’emergenza coronavirus. A dirlo ieri 24 marzo il capo del governo Abe a seguito di una telefonata con il presidente del Cio Thomas Bach, ha riferito la televisione pubblica giapponese NHK. I Giochi Olimpici saranno rinviati al 2021 ma si chiameranno sempre Tōkyō 2020 . «Saranno la testimonianza della sconfitta del virus», ha commentato il primo ministro giapponese.
La partecipazione ai Giochi Olimpici rappresenta una delle aspirazioni principali per qualsiasi atleta, grazie alla possibilità di confrontarsi con i migliori avversari al mondo, vincere una medaglia d’oro o stabilire un nuovo record. L’importanza dei Giochi, tuttavia, ha un grande valore non solo per i partecipanti diretti ma anche per la città e il paese ospitanti. Innanzitutto, rappresentano un’importante occasione per stimolare la crescita economica, grazie alla necessità di mettere in atto numerosi investimenti nelle infrastrutture della città ospitante e alla possibilità di vedere il numero dei turisti aumentare. Importante notare anche come nelle ultime edizioni agli enormi costi da sostenere per l’organizzazione dell’evento non abbia corrisposto un altrettanto imponente ritorno monetario, rendendo a volte l’aspetto economico più un ostacolo alla candidatura del proprio paese a ospitare i Giochi piuttosto che un incentivo.
In secondo luogo, nel corso degli anni si sono dimostrati un importante strumento di diplomazia e politica estera. In particolare, durante gli anni della Guerra fredda, il boicottaggio dei Giochi e la minaccia di boicottaggio sono stati più volte usati come dimostrazione di protesta e opposizione nei confronti
del governo del paese ospitante.
Infine, grazie all’eccezionale attenzione mediatica che richiamano, si sono rivelati un’importante occasione di promozione di una determinata immagine del proprio paese, sia all’interno, nei confronti della propria popolazione, sia all’estero. Emblematici, da questo punto di vista, furono i Giochi del 1936 a Berlino, sfruttati dal governo nazista per la propria propaganda, promuovendo l’immagine di una nuova Germania forte e unita, per mascherare il crescente militarismo e i crimini che si stavano compiendo sul suo territorio; tuttavia, anche i paesi democratici che hanno ospitato i Giochi hanno sempre cercato di sfruttare l’Olimpiade per mostrare un’immagine positiva di sé all’estero.
Da questo punto di vista, i Giochi olimpici diventano il palcoscenico perfetto dove mostrare i simboli di quel “nazionalismo banale” teorizzato da Michael Billig: essi acquistano un carattere di ritualità, in cui ciascun paese fa sfoggio dei propri simboli culturali – bandiere, inni, monumenti – che diventano manifestazioni fisiche dell’identità e dell’orgoglio nazionale, generando un’emozione patriottica e un sentimento di lealtà alla nazione. Sarà proprio su questo punto che porremo l’attenzione in questo lavoro nell’analizzare i Giochi olimpici di Tōkyō del 1964 e nel fare alcune considerazioni per i prossimi.
Per il Giappone, i Giochi olimpici hanno rappresentato l’occasione per ridefinire la propria identità nazionale e internazionale fin dalla prima partecipazione nel 1912. Il Giappone è stato, infatti, il primo paese asiatico a prendere parte all’Olimpiade nonché il primo a vincere delle medaglie; è stato, inoltre il primo paese asiatico a candidarsi e a vincere la possibilità di ospitare l’Olimpiade del 1940. Attraverso i Giochi, il Giappone poté, dunque, mostrare al mondo di essere un paese moderno e alla pari delle Potenze occidentali dell’epoca.
Nel suo studio sulle Olimpiadi del 1940, Sandra Collins ha ben evidenziato la volontà della cricca militarista al potere in Giappone in quegli anni di sfruttare l’evento sportivo per la propria propaganda e imporre una precisa immagine del paese all’estero. Il pamphlet della candidatura del 1933 dipingeva il Giappone come un «puzzle del vecchio all’interno del nuovo, dell’occidentale all’interno dell’orientale». Una narrazione di stato-nazione unico che includeva in sé i caratteri di orientale e occidentale, di moderno e tradizionale, utile a mostrare il Giappone come l’unico paese asiatico alla pari delle potenze europee e, di conseguenza, utile ad alimentare la retorica del Giappone come «liberatore dell’Asia», al fine di giustificare i progetti espansionistici sul continente.
In seguito allo scoppio della guerra con la Cina nel 1937, i Giochi del 1940 furono riassegnati a Helsinki per poi essere definitivamente cancellati con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale in Europa nel 1939. Al Giappone sarà poi vietato di partecipare all’Olimpiade del 1948, le prime disputate dopo la fine del conflitto, e potrà ritornarvi solo nel 1952, lo stesso anno in cui il paese riottenne la propria indipendenza. Da allora, il paese si è candidato numerose volte a ospitare i Giochi, vincendo quattro se consideriamo anche i Giochi olimpici invernali – Tōkyō 1964, Sapporo 1972, Nagano 1996 e ancora Tōkyō 2020 – facendo così di Tōkyō la prima città asiatica a ospitare per la seconda volta i Giochi olimpici estivi.
Il Giappone come paese “ricostruito” e “cool”
Il 7 settembre 2013, durante la 125a sessione del Comitato olimpico internazionale a Buenos Aires, sono stati assegnati i Giochi della XXXII Olimpiade alla città di Tōkyō. Come fu per i Giochi del 1964, anche questa volta la vittoria è avvenuta dopo la sconfitta contro Rio de Janeiro per l’edizione precedente. Come per i Giochi del 1964, anche in questa occasione il Giappone si mostrerà al mondo come un paese all’avanguardia nel campo della tecnologia: durante la manifestazione, infatti, si farà largo uso delle ultime invenzioni in campo della robotica e dell’intelligenza artificiale. Tuttavia, sono altri due gli eventi principali della storia recente del paese da considerare per capire cosa queste Olimpiadi significhino per il Giappone: il “triplice disastro” di Fukushima dell’11 marzo 2011 e il “ventennio perduto”.
L’assegnazione dei Giochi è avvenuta nel 2013, appena due anni dopo il “triplice disastro” – terremoto, maremoto e incidente nucleare – di Fukushima. Fin dall’inizio, gli organizzatori e i politici giapponesi hanno adottato un discorso che lega le Olimpiadi di Tōkyō 2020 alla ripresa della regione del Tōhoku colpita dal disastro dell’11 marzo e da subito hanno rinominato i Giochi del 2020 come le “fukkō gorin”, o “Olimpiadi della ricostruzione” secondo la traduzione ufficiale in inglese – Reconstruction Olympics –, ma anche del rifiorimento, del rinascimento, della rivitalizzazione, secondo le varie sfumature che il termine “fukkō” può avere. Non a caso uno dei primi video ufficiali dell’evento, pubblicato nel 2016, si intitola “2020 nen. Tōkyō to Tōhoku de aimashō” o “See you in Tōkyō and Tōhoku in 2020” nella traduzione inglese.
Il video comincia con alcune immagini dei danni dell’11 marzo 2011, per mostrare le aree ricostruite pronte a ospitare i turisti che da tutto il mondo verranno in Giappone per i Giochi. Nell’estate 2019, il Comitato organizzativo delle Olimpiadi in collaborazione con alcuni atenei giapponesi, il governo metropolitano di Tōkyō e i governi di tre prefetture del Tōhoku (Fukushima, Iwate e Miyagi) hanno realizzato il progetto Tōkyō 2020 Recovery Monuments (Fukkō monyumento), che prevede la realizzazione di alcune opere realizzate con l’alluminio ricliclato dalle unità abitative temporanee costruite nelle aree colpite dallo tsunami subito dopo l’11/3. I monumenti saranno installati a Tōkyō in un luogo legato alle manifestazioni sportive per poi essere trasferiti nel Tōhoku come “eredità dei Giochi”.
Infine, per coinvolgere ulteriormente la regione nordorientale del Giappone nei Giochi del 2020, si è deciso di disputare alcune gare di baseball e softball nello stadio Azuma di Fukushima. Se il tema del Giappone come “paese tecnologicamente avanzato” o quello del “paese che si riprende dal disastro” possono apparire simili alla rappresentazione offerta durante le Olimpiadi del 1964, diverso è il discorso riguardante l’aspetto economico. Il Giappone degli anni Sessanta era un paese in pieno boom economico, giovane e dinamico. Oggi il paese si presenta come un’economia matura, con bassi tassi di crescita e con un andamento demografico negativo. Lo scoppio della bolla speculativa agli inizi degli anni Novanta segnò l’inizio di un prolungato periodo di stagnazione economica protrattosi quasi ininterrottamente fino ai giorni nostri, da cui la denominazione di «ventennio perduto».
Nel 2012 il primo ministro Abe Shinzō, appena rieletto per la seconda volta dopo aver ricoperto lo stesso incarico nel 2006/07, ha lanciato un ambizioso programma di politica economica, ribattezzato Abenomics, al fine di trovare una soluzione alla prolungata bassa crescita economica. I risultati di questa politica sono stati considerati modesti e gli ultimi dati sul PIL giapponese fanno segnare ancora il segno meno. La scelta di ospitare l’Olimpiade è stata vista come una possibilità per ridare vigore all’economia giapponese. Alla cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di Rio, fu proiettato un video di dodici minuti di presentazione della città di Tōkyō in cui comparivano tutti i simboli della pop-culture giapponese – anime, manga, videogiochi – e alla fine del quale il primo ministro Abe si è presentato travestito da Super Mario.
La scelta di questi elementi della cultura pop non è casuale. Da diversi anni, il Giappone sta provando a rilanciare la crescita economica attraverso una strategia di promozione della sua cultura pop, definita come “Cool Japan”. L’espressione trae origine da un articolo comparso su Foreign Policy nel 2002, scritto da Douglas McGray, in cui si definiva l’industria culturale nipponica come il «Japan’s gross national cool». L’espressione ebbe un tale successo che lo stesso governo giapponese decise di farla propria e denominare così il programma di promozione della cultura giapponese all’estero. Tōkyō 2020 sarà il palcoscenico ideale da cui presentare al mondo la cultura pop giapponese, come la cerimonia di chiusura di Rio ha già dimostrato.
Recentement, il concetto di cool ha travalicato i confini dell’industria pop per abbracciare anche gli aspetti più tradizionali della cultura giapponese, come il kabuki, l’ikebana, il judō o il washoku, così come indicato nelle «Linee guida per la narrazione della cultura giapponese (Nihongatarishō)» redatte dal governo giapponese nel 2019. Secondo le Linee guida, negli ultimi anni si è assistito a un rinnovamento di questi aspetti della tradizione giapponese ma «solo se visti all’interno del loro contesto storico e rappresentati in una maniera contemporanea, il Cool Japan potrà emergere nella sua realtà più vivida».
Lo studio riportato in questo articolo è tratto dall’intervento di Felice Farina alla Conferenza intitolata “DA TOKYO 1964 A TOKYO 2020: COME SONO CAMBIATI IL GIAPPONE E L’ASIA ORIENTALE”, che si è tenuta martedì 25 febbraio 2020 in lingua italiana presso l’Istituto Giapponese di Cultura di Roma. Il convegno è stato co-organizzato dall’Istituto Giapponese di Cultura e ISAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie) in collaborazione con L’Ambasciata del Giappone in Italia.
Felice Farina
assegnista di ricerca presso l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale". Si occupa di storia contemporanea del Giappone e politica estera giapponese. Ha conseguito un dottorato di ricerca presso lo stesso ateneo con una tesi sul rapporto tra la sicurezza alimentare e la diplomazia del Giappone
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