Analisi – Le Autorità russe iniziano a temere seriamente la diffusione interna del coronavirus e chiudono le frontiere anche ai bielorussi. Una decisione che ha provocato l’ira di Minsk e aggiunge un nuovo problema agli altalenanti rapporti tra i due Paesi. Sullo sfondo restano in ballo l’ambizioso progetto di una futura fusione e le attuali questioni energetiche, petrolio in primis. Al momento però i tre “problemi” si sono incrociati, rappresentando una nuova sfida per Putin, che deve guardarsi da ingombranti terzi incomodi.
STESSO PROBLEMA, DIVERSE SOLUZIONI
L’emergenza causata dal coronavirus sta mettendo a dura prova non solo i Governi di molti Paesi, ma anche le relazioni tra questi ultimi. Il primo caso non riguarda certo le ferme leadership interne di Mosca e Minsk, ma la differenza di vedute sulla pericolosità del virus che intacca anche questa special relationship. Dopo aver bloccato gli ingressi provenienti dalla Cina (dal 20 febbraio) e dall’Italia (dal 13 marzo) nonché i rispettivi cittadini, il Governo russo ha chiuso le frontiere nazionali anche alla Bielorussia. Un provvedimento adottato il 16 marzo e necessario ad arginare la diffusione dei contagi nello sterminato territorio russo, secondo il nuovo Primo Ministro Mikhail Mishustin, il cui mandato è iniziato esattamente due mesi prima della misura in questione. La reazione del Presidente bielorusso Alexander Lukashenko non si è fatta attendere. Secondo lo storico leader, alla presidenza dal 1994, quella del coronavirus (che basterebbe curare con vodka e sauna, ha affermato) altro non è che una pericolosa psicosi tenuta per ora totalmente sotto controllo nel suo Paese, con poche decine di casi. Inoltre viene contestata al Cremlino sia l’esistenza di un vero confine che la competenza sulla decisione di vietare il flusso di persone tra i due Stati. Questo potere dovrebbe spettare al Presidente e non al Governo, accusa infuriato Lukashenko, che ha dichiarato di voler affrontare la questione direttamente col suo omologo Vladimir Putin e che nel frattempo la Bielorussia non adotterà il medesimo provvedimento di chiusura. Due giorni dopo l’annuncio di Mishustin, il Governo russo ha esteso la restrizione a tutti gli stranieri provenienti dall’estero, segno di quanto anche a Mosca sia stata presa seriamente l’emergenza, nonostante i numeri dichiarati (e contestati dai media internazionali) piuttosto contenuti dei contagi.
Fig. 1 – Il premier russo Mikhail Mishustin, entrato in carica lo scorso gennaio
SE MOSCA CHIUDE, WASHINGTON APRE
Le incomprensioni recenti si inseriscono nel discorso più ampio e altrettanto teso riguardante le relazioni commerciali tra le due ex Repubbliche sovietiche. Una vicenda iniziata ufficialmente nel 1996 con la creazione della Comunità Russia-Bielorussia e proseguita negli anni tra accordi bilaterali e dispute energetiche, fino all’odierna diatriba sul petrolio. Negli ultimi mesi Minsk si è dimostrata piuttosto restia a una maggiore integrazione economica e politica col gigante russo. Uno stallo nella roadmap che dovrebbe portare i due Stati a fondersi in una confederazione dovuto prima all’interruzione (avvenuta il 1° gennaio) e poi al rincaro della fornitura petrolifera dalla Russia. Il Ministro degli Esteri bielorusso Vladimir Makei ha dichiarato che finché non si troverà un accordo con Mosca in tal senso, sarà inutile parlare dei prossimi passi necessari per la fusione. Sulla stessa linea Lukashenko, che accusa il Cremlino di voler non integrare, ma incorporare la Bielorussia in cambio di un buon prezzo sull’indispensabile petrolio, che nel frattempo verrà comprato da altri Paesi, seppur più costoso. Un accordo tra le parti sembrerebbe vicino, ma mancano ancora conferme ufficiali.
Minsk dipende dall’approvvigionamento energetico russo per oltre l’80% e le ultime difficoltà con Mosca la costringono a guardare altrove, con le conseguenze del caso. A dicembre il Ministro delle Finanze Maksim Yermolovich riuscì a concludere un accordo con la filiale di Shanghai della China Development Bank per un prestito da 500 milioni di dollari, precedentemente proposto senza risultati alla Russia. Pochi giorni prima che quest’ultima chiudesse la frontiera con la Bielorussia, l’ingresso di peso degli USA nella vicenda ha provocato un’ulteriore distanza tra le parti. Il 13 marzo il Segretario di Stato Mike Pompeo ha confermato il sostegno di Washington all’integrità territoriale bielorussa in una lunga telefonata al ministro Makei. Il punto centrale della conversazione tra i due diplomatici è stata l’offerta di vendita immediata di petrolio alla Bielorussia a prezzi competitivi, già avanzata in occasione della visita di Pompeo a Minsk nell’ambito del grand tour di febbraio in terra ex sovietica. Una mossa scaltra per dare una spallata a Mosca nell’attuale guerra dei prezzi petroliferi in un momento di forte difficoltà per l’export russo, vincolato momentaneamente alle restrizioni stabilite in sede OPEC fino al 1° aprile, quando queste saranno revocate.
Fig. 2 – Il Presidente bielorusso Alexander Lukashenko insieme al Segretario di Stato USA Mike Pompeo, 1 febbraio 2020
TRA LA CERTEZZA PUTIN E L’INCOGNITA LUKASHENKO
La relazione tra Russia e Bielorussia è un unicuum nella frammentata realtà lasciata dal collasso dell’URSS. In seguito alla citata Comunità, poi divenuta Unione nel 1997, fu siglato il Trattato di creazione dell’unione statale di Russia e Bielorussia, nel dicembre 1999. Da allora il progetto di fusione in un’unica entità è rimasto lettera morta, sia per le oggettive difficoltà di un processo così complesso che per gli oscillamenti di Lukashenko, inizialmente favorevole ma in seguito poco propenso all’incorporazione (e alla conseguente perdita del suo ruolo di guida del Paese). Su queste dinamiche pesa l’enorme figura di Vladimir Putin, il quale attende l’esito del prossimo referendum costituzionale che dovrebbe garantirgli la virtuale possibilità di guidare la Russia fino al 2036. In attesa di essere -perché no- anche a capo di un potenziale “super Stato” russo-bielorusso, Putin deve fare i conti col grande problema Lukashenko e la sua politica estera che da circa 25 anni pende a Est o a Ovest a seconda della situazione. Le accuse a Mosca sulla chiusura del confine e sulla questione energetica si sono sovrapposte e incrociate con quella di un’unione che all’improvviso pare non convincere più il Presidente bielorusso, firmatario del Trattato insieme all’allora leader del Cremlino Boris Eltsin.
USA e Unione europea sono lì, pronte in qualche modo a raccogliere la disponibilità bielorussa e a estendere la propria influenza economica e diplomatica. Rispettivamente nel 2008 e nel 2004 entrambe ruppero di fatto i rapporti con Minsk imponendo sanzioni per le presunte violazioni dei diritti umani perpetrate agli ordini di Lukashenko. Nonostante quest’aspetto, sia i vertici statunitensi che quelli europei hanno successivamente ridotto la distanza, consci dell’enorme importanza nel godere della collaborazione bielorussa. Washington si è concretamente attivata lo scorso anno approfittando delle oscillazioni di Lukashenko, che permettono a quest’ultimo di tenere una posizione mediana tra Occidente e Russia, godendo dei relativi benefici, senza rinunciare alla propria indipendenza. Anche la sofferente UE ha cercato di ricucire i rapporti con una precisa strategia che punta alla cooperazione economica, obiettivo chiave di Bruxelles nello spazio post-sovietico. Il pericolo per Putin è quello di vedere, alla vigilia della sua ascensione a padre della nazione, troppi rivali alle porte di casa, con conseguente rallentamento del già arenato progetto di unione statuale con la Bielorussia, la quale ha avviato pure dei contatti diplomatici con la NATO. Le rassicurazioni di Minsk a Mosca su quest’ultimo aspetto non risolvono il grosso problema che persiste tra le due nazioni, e che negli ultimi tempi si è sviluppato su tre filoni. Putin dovrà tenerne conto nel prossimo futuro, evitando di spingere lo storico alleato e baluardo della causa russa ad un punto critico che potrebbe portarlo a pendere sempre di più verso Ovest.
Di Mario Rafaniello, Il Caffè Geopolitico
“Belarusian President Alexander Lukashenko addresses the 26th Annual Session in Minsk, 5 July 2017” by oscepa is licensed under CC BY-SA
Mario Rafaniello
Classe 1987. Aspirante scrittore, dopo la laurea in Giurisprudenza con tesi in diritto commerciale sul made in Italy, cambia completamente strada. Adesso studia Relazioni Internazionali e collabora con alcune riviste. Interessato allo spazio post sovietico e alle dinamiche orientali.
Come fare impresa nel Golfo
16 Ott 2024
Come aprire una società in Arabia Saudita? Quali sono le leggi specifiche che regolano il business nel Paese del Golfo…
Non c’è più la politica di una volta
26 Set 2024
In libreria dal 20 settembre, per la collana Montesquieu, Fuori di testa. Errori e orrori di politici e comunicatori,…
Hi-Tech: i punti deboli della Cina
21 Mag 2024
La sfida tra Stati Uniti e Cina in campo tecnologico mostra una Cina nettamente indebolita nonostante la sua guerra…