In Tunisia da giorni è in atto una nuova vibrante ondata di proteste. Come riporta l’agenzia Ansa, nella giornata di ieri, 64mo anniversario della proclamazione della Repubblica tunisina, migliaia di cittadini avevano marciato in diverse città per protestare contro i fallimenti del governo, il sistema e la malagestione della pandemia. In tarda serata il presidente tunisino Kais Saied ha annunciato la sospensione del parlamento e il licenziamento del primo ministro Hichem Mechichi. La situazione è dunque in costante evoluzione e non sono esclusi improvvisi capovolgimenti anche in quello che fino a poco tempo fa è stato considerato come il Paese più stabile tra quelli del Nord Africa protagonisti della stagione delle primavere arabe del 2011. Della situazione in Tunisia, nel Nord Africa e nell’intera area del Mediterraneo parla il libro Naufragio Mediterraneo di Michela Mercuri e Paolo Quercia, uscito lo scorso giugno per Paesi Edizioni. Eccone un estratto.
Anche nel Paese dei gelsomini, la progressiva penetrazione dello Stato Islamico è cominciata da qualche anno, intorno al 2014, ed è legata ad alcuni fattori: il ridimensionamento di Ansar al-Sharia, il ritorno dei foreign fighter dalla Siria e dall’Iraq e la crescita dell’instabilità in Libia, con l’affermazione di Isis a Derna e Sirte. Per quanto riguarda il primo punto, la massiccia campagna anti terrorismo del governo di Tunisi, specie dopo gli attentati che hanno visto coinvolti anche turisti stranieri soprattutto nel 2015, non solo è riuscita a ridurre la presenza territoriale dell’organizzazione jihadista, ma ha anche causato un accesso dibattito all’interno della sua leadership, tanto che l’organizzazione terroristica ha dovuto elaborare una efficace strategia di rilancio, tentando la «carta Isis».
A riprova di questo avvicinamento basti ricordare la dinamica della morte del tunisino Seifallah Ben Hassine, fondatore di Ansar al-Sharia ucciso proprio mentre era in Libia per stringere alleanze con le strutture locali dello Stato Islamico. Ad alimentare la corrente filo-Isis sono stati, poi, anche i combattenti tunisini rientrati nel Paese. Questi hanno avuto un ruolo di assoluto rilievo nell’economia del jihadismo tunisino. Infatti, grazie alla loro esperienza sui campi di battaglia di Siria e Iraq, hanno contribuito a elevare sia il livello qualitativo del radicalismo ideologico tunisino, favorendone la dimensione internazionale e anti-occidentale, sia le capacità operative e logistiche, garantendo un importante innalzamento del know how e dell’expertise nelle tattiche di guerriglia, di conduzione degli attentati e di controllo e gestione del complesso meccanismo propagandistico.
I foreign fighter hanno agito da trait d’union tra il network di Isis in Tunisia e quello in Libia. Si tratta di un collegamento nato probabilmente sui campi di battaglia di Siria e Iraq, dove i combattenti stranieri possono essersi conosciuti poiché integrati in specifiche brigate. Inoltre, esistono dati che confermano che la grande maggioranza dei tunisini arrestati per jihadismo, circa il 70%, hanno ricevuto addestramento in Libia, in particolare nei campi di Derna (per gli affiliati ad Aqmi) e Sabratha (per gli affiliati a Isis). Il fenomeno, seppure strettamente interconnesso, presenta però delle differenze per quanto riguarda la genesi del terrorismo in Libia eTunisia. Mentre la Libia rappresenta un hub ideale per i gruppi jihadisti, a causa della totale assenza di controllo che regna nel Paese, per la Tunisia il problema rispecchia anche la difficile condizione so- cio-economica interna.
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Naufragio Mediterraneo
di Michela Mercuri e Paolo Quercia
Michela Mercuri
Docente del Corso in Terrorismo e le sue mutazioni geopolitiche alla SIOI, insegna Geopolitica del Medio Oriente all’Università Niccolò Cusano e Storia contemporanea dei Paesi mediterranei all’Università di Macerata
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