Come abbiamo scritto più volte su questo giornale, la Turchia non può far parte dell’Unione Europea. Non sotto la guida del presidente Recep Tayyip Erdogan, le cui prove muscolari sono fonte continua d’imbarazzo e destabilizzazione a livello mondiale. Stavolta il suo governo ha preso di mira l’Italia, a pochi giorni dai salamelecchi andati in scena a Roma e al Vaticano agli inizi di febbraio, dove Erdogan si era recato con tante buone intenzioni. Ma la visita che avrebbe voluto rilanciare il dialogo per l’ingresso turco in Europa, rischia invece di degenerare in un contenzioso internazionale dopo l’episodio che siamo a descrivere. Anche se per il momento il governo di Roma tace, urge una presa di posizione ufficiale.
Ancora oggi 14 febbraio, infatti, non si sblocca il giallo del Mediterraneo che coinvolge l’italiana ENI e la Marina militare turca. Da venerdì 9 febbraio, infatti, la Saipem 12000, una nave da perforazione noleggiata dal colosso petrolifero italiano, resta bloccata al largo di Cipro senza possibilità di raggiungere l’area prevista per le trivellazioni esplorative, come concordato con il governo cipriota. La piattaforma e l’equipaggio sono de facto ostaggi della Turchia, che non riconosce il diritto della parte europea di Cipro a concedere licenze a compagnie petrolifere in un’area che Ankara considera acque territoriali turche.
«La sola cosa che i greco-ciprioti possono fare è smetterla con le azioni unilaterali nel Mediterraneo orientale» ha tuonato il ministro degli Esteri turco Mevlut Çavusoglu, in riferimento alla querelle internazionale sull’indipendenza di Cipro. Come noto, infatti, l’isola è divisa dal 1974, anno in cui è stata invasa dall’esercito turco in risposta a un colpo di Stato filo-greco. Oggi, Ankara ne controlla la parte settentrionale (un terzo del territorio totale) sotto il cappello di “Repubblica Turca di Cipro del Nord” non riconosciuta dalla comunità internazionale. Mentre la restante parte dell’isola, vale a dire la Repubblica di Cipro, dal 2004 è parte dell’Unione Europea. Dal 1974, dunque, una Green Line guardata a vista dalle forze di sicurezza ONU separa la Repubblica Turca di Cipro del Nord e la Repubblica di Cipro. Anche se dal 2003 è possibile attraversare la frontiera, oggi quella stessa linea sembra dividere sempre più l’Occidente dal Medio Oriente e la Turchia dall’Europa.
Oltre alla centralità dell’isola nella geopolitica del Mar Mediterraneo, Ankara non indietreggia e anzi rivendica il nord dell’isola e le sue acque antistanti soprattutto per la questione energetica, essendo i giacimenti offshore situati nel Mediterraneo Orientale ricchi di gas, tali per cui il loro sfruttamento è strategico.
La ricchezza sotto il mare
Nel 2011 la texana Noble Energy Incorporation, leader mondiale nelle esplorazioni offshore e attiva nelle prospezioni nel Mediterraneo a largo di Israele sin dal 1998 (Leviathan Field), annunciò la scoperta di un giacimento – stimato in oltre 7 trilioni di piedi cubici (tfc) di gas naturale – nel blocco 12 della Zona Economica Esclusiva (ZEE), a sud di Cipro. Da allora, sono giunte al governo cipriota 33 offerte da 15 diverse società o consorzi, per ottenere le licenze per esplorazioni nella ZEE.
Nel gennaio 2013, l’italiana ENI e la sudcoreana Kogas, attraverso un consorzio che vede una partecipazione in proporzioni 80% ENI e 20% Kogas, hanno ottenuto licenze per esplorazioni nei blocchi 2, 3 e 9, cui in seguito si sono aggiunti i blocchi 6, 8 e 11, due dei quali in collaborazione con Total. La società francese si era già aggiudicata per 100 milioni di euro la licenza per l’esplorazione dei blocchi 10 e 11. Anche le israeliane Delek Drilling e Anver Oil-Gas Exploration hanno firmato un accordo per l’acquisto del 30% sui diritti di esplorazione di gas e petrolio a largo di Cipro.
Questi accordi hanno rappresentato una manna dal cielo per la disastrata economia cipriota, duramente colpita dalla recessione economica e dai sacrifici imposti per la concessione del prestito europeo di 10 miliardi di euro, necessario per evitare il collasso del sistema finanziario. Sennonché, la scoperta dei giacimenti off-shore a sud di Cipro ha riacceso le dispute, mai sopite, con la Repubblica Turca di Cipro Nord in particolare per il riconoscimento della Zona Economica Esclusiva (inoltre, la Turchia su questo tema ha un atteggiamento contradditorio: non riconosce la ZEE nel Mediterraneo, ma la invoca nel Mar Nero).
La storia della divisione di Cipro
Amministrata dagli inglesi fin dal 1878, Cipro diventa una colonia dell’Impero Britannico nel 1925, dopo oltre tre secoli di dominio ottomano. L’isola raggiungerà l’indipendenza nel 1960, ma il divide et impera britannico aveva già esacerbato le tensioni tra la comunità greca che mirava all’énosis – l’unione con la Grecia – e quella turca che, in risposta, punta alla taksìm, ovvero a una divisione dell’isola. I primi scontri armati si verificano già nel 1955 con la nascita dell’EOKA, formazione paramilitare filo-greca di ispirazione nazionalista. Per mantenere il controllo dell’isola, gli inglesi rispondono alle azioni di guerriglia dell’EOKA armando forze turco-cipriote, che si organizzeranno tre anni più tardi nel movimento di resistenza del TMT, finanziato da Ankara.
Nel 1964 i contrasti sfoceranno in guerra aperta, richiedendo l’intervento delle Nazioni Unite, il cui contingente è presente sull’isola da allora. L’occupazione turca del nord di Cipro avviene il 20 luglio del 1974, in reazione a un golpe militare sostenuto dall’Atene dei colonnelli (e con il placet di Washington, che, in piena Guerra Fredda, malvedeva l’adesione di Cipro ai Paesi Non Allineati) volto al raggiungimento dell’énosis. L’isola diventa così teatro di un conflitto tra due Stati membri della NATO.
Ma l’intervento turco non va interpretato soltanto come un’azione militare di carattere espansionistico, ma anche come un atto di orgoglio nazionale. Fino a quel momento, infatti, i turco-ciprioti erano vissuti in una condizione di apartheid, allontanati dalla vita politica, sociale ed economica del Paese da parte della maggioranza greco-cipriota. In seguito all’occupazione, i circa 170.000 greco-ciprioti che vivevano nella parte settentrionale dell’isola vengono esiliati al sud, a maggioranza greca; i 50.000 turco-ciprioti presenti nell’area meridionale si rifugiano invece al nord, dove giungerà, tra l’altro, una massiccia ondata migratoria proveniente dall’Anatolia.
Nel 1983 il territorio settentrionale si autoproclama Repubblica Turca di Cipro del Nord: riconosciuta solo da Ankara, essa ha tuttavia fin dal 1979 lo status di osservatore presso l’Organizzazione della Cooperazione Islamica, il che equivale a un implicito riconoscimento della sua indipendenza da parte dei Paesi islamici. Nel 2002 Cipro – tutta – è invitata ad aderire all’Unione Europea, ma il Piano Annan promosso dall’ONU per dare un assetto federale all’isola, sottoposto a referendum nell’aprile 2004, viene accettato solo dal lato turco. Di conseguenza, è solo la parte meridionale dell’isola a entrare de facto in Europa nel maggio dello stesso anno, con una linea verde che separerà non solo musulmani e ortodossi, ma anche economie con gradi di sviluppo molto differenti.
Al di là dell’attuale crisi della Cipro meridionale, è il notevole divario economico tra nord e sud a rendere altamente improbabile una riunificazione dell’isola e, con essa, l’ingresso della Turchia in Europa.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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