Il 5 dicembre a Kiev è stato il giorno di Mikheil Saakashvili. In poche ore l’ex presidente della Georgia è passato dal subire una perquisizione in casa da parte dei servizi segreti ucraini ad aizzare una folla di suoi sostenitori contro il presidente ucraino Petro Poroshenko. Nel frattempo ha minacciato di lanciarsi dal tetto della sua abitazione, è stato arrestato e, infine, liberato da un gruppo di suoi supporter che sono poi andati allo scontro con le forze dell’ordine.

 

Chi è Mikheil Saakashvili

Quarantanove anni, cittadino ucraino dal 2015, Saakashvili è stato presidente della Georgia per due mandati, dal 2004 al 2007 e dal 2008 al 2013. Era alla guida del Paese quando, nell’agosto del 2008, allo scoccare di una nuova guerra tra Georgia e Ossezia del Sud le truppe russe penetrarono nei confini georgiani e in soli cinque giorni si spinsero fino alla città di Gori. Alla conclusione del conflitto, Mosca riconoscerà l’indipendenza di Abcazia e Ossezia del Sud, mentre la Georgia abbandonerà la Comunità degli Stati Indipendenti. È l’inizio della fine per il riformatore Saakashvili, che da leader della Rivoluzione delle Rose del 2003 finirà nel 2014 per essere costretto a fuggire dal suo Paese.

Soprattutto nel suo primo mandato Saakashvili aveva attuato una politica di grande apertura verso le potenze occidentali, Stati Uniti in primis: significativo nell’estate del 2008 l’incontro con l’allora vicepresidente americano Dick Cheney pochi giorni prima dell’attacco contro l’Ossezia, un incontro che all’epoca non poteva che essere interpretato come un via libera da parte dell’amministrazione Bush e che, a posteriori, ha fatto ben comprendere la durezza della reazione di Putin nei suoi confronti.

L’avvicinamento a Washington su cui puntava Saakashvili era determinato dal bisogno di rafforzare militarmente il Paese (furono gli USA a occuparsi dell’addestramento delle truppe georgiane, con Tbilisi che in cambio inviò un contingente in Iraq) e dalla necessità di affrancarlo dalla dipendenza dagli idrocarburi russi. In quest’ottica, nel 2006 venne inaugurato l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC Pipeline), che dall’Azerbaijan, sul Mar Caspio, porta il petrolio fino al Mediterraneo orientale, in Turchia, ai confini con la Siria, passando proprio per la Georgia.

Con la BTC Pipeline – che raccoglie, tra gli altri, gli interessi della britannica BP, principale partner, e delle americane Chevron, Conoco Phillips e Hess – Mosca, dopo aver già perso il controllo politico sul Caucaso, è costretta a lasciare andare anche una fetta importante del monopolio economico che prima, attraverso Gazprom, esercitava nell’area. Il suo intervento in difesa dell’indipendenza delle regioni georgiane è quindi un tentativo, riuscito, di sottrarle alla sfera d’influenza occidentale, facendo leva proprio sul conflitto interetnico. E tra le principali vittime di questa strategia, a lungo andare, ci sarà proprio Saakashvili.

 

La fuga in Ucraina

Nel 2014, costretto a lasciare il suo Paese e privato della cittadinanza georgiana per le accuse di abuso di potere, corruzione e per violenze perpetrate durante manifestazioni del 2007, Saakashvili trova asilo in Ucraina presso l’amico di vecchia data Poroshenko, diventato presidente nel giugno dello stesso anno. Ottiene la cittadinanza ucraina e nel 2015 gli viene assegnato l’incarico di governatore dell’Oblast meridionale di Odessa. Il matrimonio politico con Poroshenko dura però poco. Nel 2016 Saakashvili si ritrova così nuovamente apolide: non può rientrare in Georgia, mentre in Ucraina su di lui pende l’accusa di far parte di un’organizzazione filo-russa collegata all’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych (attualmente in esilio in Russia) che tramerebbe per far cadere il governo ucraino. Accuse per le quali è stato prelevato dalla sua abitazione il 5 dicembre e che, se dichiarato colpevole, potrebbero costargli fino a cinque anni di carcere.

 

Lo scontro con Poroshenko

Liberato dalla morsa dei poliziotti, Saakashvili si è rivolto ai suoi sostenitori con messaggi accorati. «Darò la mia vita per la libertà dell’Ucraina. Voglio invitare tutti i cittadini di Kiev a scendere in piazza oggi, a riunirsi a Piazza Maidan e avviare il processo per liberare l’Ucraina da Petro Poroshenko e dalla sua banda». In molti lo hanno preso alla parola, segno delle profonde tensioni che attraversano l’Ucraina, un Paese in guerra in cui basta che qualcuno scaldi gli animi della folla per innescare scontri di piazza. Il furgone in cui era rinchiuso è stato preso d’assalto. Manifestanti hanno bloccato alcune strade della capitale con pneumatici e lanciato pietre contro gli agenti delle forze di sicurezza che hanno risposto con l’uso di gas lacrimogeni.

In Ucraina Saakashvili non è nuovo né ai comizi di piazza né al lancio di pesanti invettive nei confronti del suo ex alleato Poroshenko. Ha fondato un partito chiamato “Movimento delle Forze Nuove” e negli ultimi mesi in diverse occasioni ha organizzato proteste a Kiev e in altre città del Paese contro il governo e per chiedere l’impeachment del presidente. Finora Kiev ha sempre respinto la richiesta della sua estradizione più volte avanzata negli ultimi anni dalla Georgia. Le ultime tensioni potrebbero però spingere il vecchio amico Poroshenko a decidere di accontentare Tblisi e rispedire Saakashvili nel suo Paese d’origine.