Solidarietà obbligatoria per superare il Regolamento di Dublino, ma rimane il criterio del “paese di primo approdo” tanto criticato da Italia, Grecia e Malta. La Commissione Europea ha presentato una proposta per la riforma del trattato che guarda più alla condivisione dei rimpatrii che alla condivisione dell’accoglienza.
La presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen ha presentato il tanto atteso “Patto su migrazione e asilo”, annunciato nei giorni scorsi, e che dovrebbe superare il trattato di Dublino ormai considerato inadatto per affrontare le crisi migratorie attuali. Le specifiche del nuovo patto sono state illustrate dal vicepresidente Margaritis Schinas e dalla commissaria Ue, Ylva Johansson. La politica migratoria è stata storicamente una questione spinosa nella politica dell’UE.
«È giunto il momento di raccogliere la sfida di gestire la migrazione congiuntamente, con il giusto equilibrio tra solidarietà e responsabilità. Una soluzione europea per ricostruire la fiducia tra Stati membri e ripristinare la fiducia dei cittadini nella nostra capacità di gestire come Unione», aveva affermato la Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, evocando le grandi sfide affrontate in passato dall’Unione e la sua capacità di fare passi straordinari per conciliare prospettive divergenti.
Cosa prevede il Patto
«Il Patto della Commissione su migrazione e asilo, che presentiamo oggi, offre un nuovo inizio», aveva detto Ursula der Leyen. Ma va detto subito che, a dispetto di quanto annunciato, restano alcuni aspetti del trattato di Dublino. In effetti, il punto, critico, ovvero il paese di primo approdo, resta anche nel nuovo patto, al quale però verranno agganciati una serie di strumenti per alleggerire il peso sul paese di prima accoglienza. Un “primo paese di approdo vincolato”, si potrebbe dire. Resta il fatto che i migranti dovranno presentare la loro richiesta di asilo nel primo Stato membro in cui sono arrivati. Evidentemente, in questi mesi si è dovuti arrivare ad un “compromesso” con i paesi più ostili alla redistribuzione dei richiedenti. Inoltre, non ci sarà il ricollocamento obbligatorio dei migranti, tanto richiesto dall’Italia, Grecia e Malta, che si sono si sono sentite abbandonate dagli altri Stati e si sono trovate a dover gestire un carico migratorio significativo. Ma su questo è stato previsto il meccanismo della “solidarietà obbligatoria”.
«Il processo è stato un delicato processo di bilanciamento tra il dare maggiore controllo sull’accettazione dei migranti a paesi che erano contrari a quote obbligatorie, come Polonia, Ungheria e Austria, e il sostenere paesi meridionali, come Grecia, Italia e Malta nel trattare con le persone che arrivano sulle loro coste dal Mediterraneo», aveva detto la Presidente Von der Leyen.
L’opposizione al ricollocamento dei migranti non è tuttavia una novità e il nuovo patto è già stato definito «fallimentare». Per il cancelliere austriaco Kurz, «la redistribuzione è stata un fallimento e molti Stati non la vogliono». Stesso annuncio quello della Repubblica Ceca, mentre, per l’Ungheria, «le frontiere dell’Europa devono essere protette e sigillate». Si prospetta dunque una dura battaglia nei prossimi passaggi verso il Consiglio Europeo.
Ma per la Presidente della Commissione quello raggounto è un «equilibrio ragionevole» per snellire il processo e bilanciare il peso dei flussi condividendo «vantaggi e oneri» e spostando il ragionamento sul «come» dovrebbero contribuire gli Stati membri piuttosto che sul «se possono farlo». Un modo per avvicinare questi Stati ostili ma lasciando margine di scelta. Ed è qui che entrano in gioco i nuovi meccanismi centrali del Patto, strettamente correlati tra loro. Nel frattempo con un tweet il presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, ha detto che «Il Patto sulla migrazione è un importante passo verso una politica migratoria davvero europea. Ora il Consiglio europeo coniughi solidarietà e responsabilità. Serve certezza su rimpatri e redistribuzione: i Paesi di arrivo non possono gestire da soli i flussi a nome dell’Europa».
Ricollocamento, rimpatri o sostegno
«Tutti gli Stati dell’Ue dovranno mostrare solidarietà verso i Paesi sotto pressione: potranno farlo o con i ricollocamenti o con i rimpatri sponsorizzati. Sono queste le due componenti fondamentali del meccanismo di solidarietà obbligatoria», ha detto commissaria Ylva Johansson. Gli Stati che scelgono la “sponsorizzazione” dovranno quindi prendersi in carico l’onere di rimpatriare i nuovi migranti non aventi diritto dal paese di primo approdo, entro 8 mesi. In caso di mancato rispetto del rimpatrio entro la tempistica stabilita, scatta il secondo meccanismo che costringe il paese che ha sponsorizzato ad accogliere sul proprio territorio la quota rimanente. Per rendere più digeribile la “pillola” il meccanismo comprende anche un sistema di contribuzione flessibile per gli Stati membri ai quali verrà chiesto di contribuire o appunto ricollocando i richiedenti asilo, rimpatriando individui oppure fornendo supporto logistico. Fermo restando il fatto che in attesa delle procedure, i migranti da rimpatriare non verrebbero trasferiti nel Paese che se ne fa carico, ma resteranno dunque in quello di “primo approdo”. Su questo punto bisognerà capire in che modo e con quali conseguenze visto che l’Italia ha sempre avanzato la proposta di ricollocamenti obbligatori, che evidentemente non è prevista. In caso di approvazione del Patto, potrebbe essere una via privilegiata quasi sicuramente dai paesi interni all’Unione e con un’economia più forte, scegliendo di fornire sostegno finanziario pur di tenerli nell’altro Stato. Una sorta di “adozione a distanza”.
Per superare il problema della gestione dei diversi casi di flussi migratori il meccanismo della “solidarietà obbligatoria” dovrebbe attivarsi automaticamente per «salvare vite», come aveva anticipato nei giorni scorsi la Presidente della Commissione e come è stato sottolineato nella conferenza stampa dalla Commissaria agli interni Ylva Johansson: «È ovvio per tutti che la solidarietà ad hoc non è sufficiente», facendo riferimento a interventi specifici per singoli sbarchi. «Abbiamo bisogno di un sistema adeguato che risponda anche alla pressione che gli Stati membri possono subire», ha detto Ylva Johansson parlando dei paesi di confine dell’Unione. Si tratta quindi di un’azione che scatterà in modo automatico per i migranti che vengono salvati in mare ma che non esclude dall’accoglienza i Paesi di sbarco che dovranno farsi carico di una quota secondo regole prefissate e sulla base della valutazione della Commissione Europea Per fronteggiare, invece, eventi eccezionali la commissaria Ylva Johansson ha detto che sono state previste «norme speciali per regolare eventuali situazioni di crisi, come quella che abbiamo vissuto nel 2015, quando arrivarono due milioni di migranti».
Strategia integrata per le frontiere
La politica mira anche a creare un quadro giuridico dell’UE e una maggiore solidarietà tra gli Stati membri. Anche il corpo della guardia di frontiera e costiera dell’UE sarà schierato dal 2021 per fornire un maggiore sostegno, si legge nella nota della Commissione. Il Patto introduce una procedura di frontiera integrata, compreso il cosiddetto “screening pre-ingresso”, che deve essere eseguito entro 5 giorni per i migranti che attraversano illegalmente le frontiere esterne dell’Unione, e che prevede: identificazione – controlli sanitari – controlli di sicurezza – rilevamento delle impronte digitali e registrazione nella banca dati Eurodac. Lo step successivo serve per “filtrare” le richieste di asilo in riferimento al paese di provenienza. Se il richiedente proviene da un Paese con un tasso di riconoscimento dell’asilo inferiore al 20%, quindi a rischio accettazione, verranno valutati secondo la nuova “procedura di frontiera”.
Dodici settimane per decidere
Sul fronte della valutazione delle richieste di asilo per chi entra illegalmente in Europa il Patto prevede quindi due percorsi, anche in questo caso strettamente correlati ed interconnessi, per accelerare il processo decisionale e rendere più efficienti le procedure. La novità riguarda la cosiddetta “procedura di frontiera” che, in caso di rigetto della domanda di asilo, accelera i tempi del rimpatrio. In sostanza, al richiedente oltre a comunicare il rigetto viene comunicata anche la decisione di rimpatrio e lo Stato ha 3 mesi di tempo per la sua esecuzione. In caso contrario, si applica la procedura standard di asilo o i rimpatri avverranno con Frontex, l’agenzia della guardia costiera e di frontiera dell’UE.
Fermo restando il mantenimento di un meccanismo di monitoraggio indipendente per garantire il rispetto dei diritti fondamentali – sostenuto dall’Agenzia per i diritti fondamentali, Frontex e dalla nuova Agenzia dell’UE per l’asilo – attraverso questo sistema di gestione delle frontiere si intende scoraggiare i movimenti non autorizzati verso gli Stati membri, focalizzando l’attenzione sui richiedenti piuttosto che sulla domanda per determinare la responsabilità delle richieste di asilo. Il tema dei rimpatri è evidentemente uno dei punti più complessi e critici. Solo un terzo dei non aventi diritto abbandona il territorio europeo, rimanendo di fatto nello stato di “clandestinità”, come avviene in Italia. Un dossier complicatissimo, oltre che economicamente insostenibile per un singolo paese. Lo sappiamo bene in Italia, dove l’iter è stato reso ancora più aggrovigliato con gli ultimi decreti sicurezza, su cui l’attuale Governo guidato da Conte II ha dichiarato di volere mettere mano.
Il nuovo Patto europeo, come era in parte previsto nel trattato di Dublino, prevede di rafforzare la cooperazione con i paesi terzi, considerati sicuri. Su questo punto è intervenuta la commissaria Ylva Johansson asserendo che servono meno arrivi irregolari, un risultato da ottenere lottando contro il traffico di migranti e attuando i rimpatri secondo le nuove norme, in cui avranno ruolo importante Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Ma allo stesso tempo serve «sviluppare vie legali» di ingresso in UE in accordo con i paesi terzi. La commissaria ha infatti ricordato che l’UE ha accordi di riammissione con 24 paesi, anche se molti sono fermi, accordi che bisognerà rafforzare attraverso negoziati. Ci sarà un «coordinatore dei rimpatri» per rendere più efficace la politica dei rimpatri.
Il nuovo Patto pone maggiore enfasi sui rimpatri, assicurando che i paesi di provenienza dei migranti irregolari accettino i propri cittadini e accelerando allo stesso tempo le procedure di asilo.
Stiamo trovando il giusto equilibrio perché mostriamo solidarietà verso i migranti, i richiedenti asilo, ma è altrettanto chiaro che coloro che non hanno diritto a restare devono essere rimpatriati,
ha detto la commissaria Johansson a Euronews.
Il dibattito è appena iniziato e il problema riguarda la necessità di arrivare ad una decisione unanime tra gli Stati membri, destinata però a scontrarsi contro il muro dei veti incrociati, che nel 2017 hanno fatto naufragare in seno al Consiglio Europeo la riforma del trattato di Dublino approvata dal Parlamento Europeo. Nonostante la volontà dichiarata dalla Commissione Europea, questo nuovo progetto di riforma dovrà infatti essere votato all’unanimità dai Ventisette membri e approvato dal Parlamento Europeo. Tuttavia, è certamente un passo importante, anche per evitare altre disastri come l’incendio a Moria, in Grecia. D’altronde, in molti chiedono da tempo una politica europea comune in materia migratoria e di asilo.
PHOTO: Refugee warm around a wood fire in the refugee camp during Christmas Day in the camp called ‘The Jungle’ in the port of Calais, France, 25 December 2015. Part of Calais migrant camp are Christians and celebrate Christmas. Currently the camp in Calais is housing around 1500 migrants who are looking to cross the English Channel to Britain. Among the migrants of the ‘Jungle’ are refugees and asylum seekers from Afghanistan, Darfur, Syria, Iraq and Eritrea. EPA/STEPHANIE LECOCQ
Abdessamad El Jaouzi
Ricercatore indipendente, esperto in cooperazione economica internazionale
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