Venerdì 9 novembre il Presidente cingalese Sirisena ha deciso di sciogliere il Parlamento e di indire nuove elezioni per gennaio, ma l’iniziativa è stata respinta sia dalla Corte Suprema che dai deputati. È solo l’ultimo colpo di scena di una drammatica crisi politica aperta a fine ottobre dall’improvviso ritorno al potere del controverso Mahinda Rajapaksa.

1. IL “RIBALTONE” DI SIRISENA

Il 26 ottobre scorso Maithripala Sirisena ha licenziato improvvisamente il Governo del primo ministro Ranil Wickremesinghe, sostituendolo con un nuovo esecutivo guidato dall’ex presidente Mahinda Rajapaksa, responsabile della brutale repressione delle Tigri Tamil nel triennio 2006-2009. La decisione di Sirisena è stata un autentico “ribaltone” che ha messo in pericolo i fragili equilibri politici della Repubblica cingalese. In particolare, l’attuale Presidente ha riportato la figura controversa di Rajapaksa al centro della scena istituzionale, scatenando massicce proteste popolari contro un eventuale ritorno alle pratiche autoritarie della precedente Amministrazione presidenziale. Allo stesso tempo Wickremesinghe ha rifiutato di riconoscere la decisione di Sirisena e ha continuato a rivendicare il ruolo di premier in opposizione a Rajapaksa, resistendo alle pressioni della polizia e dei sostenitori del nuovo esecutivo. Ciò ha provocato diversi tafferugli per le strade della capitale Colombo, anche se finora lo scontro tra i due Governi è rimasto principalmente confinato nelle aule parlamentari. I tentativi di Sirisena di trovare una solida maggioranza per l’esecutivo di Rajapaksa sono falliti e il Presidente ha infine deciso di sciogliere l’attuale Parlamento e indire nuove elezioni per inizio gennaio. Ma la Corte Suprema ha bloccato l’iniziativa di Sirisena, giudicandola incostituzionale, mentre il Parlamento – riconvenuto d’urgenza dopo la sentenza della Corte – ha votato una mozione di sfiducia contro Rajapaksa. La crisi appare quindi ben lontana da una pacifica conclusione.

Fig. 1 – Mahinda Rajapaksa (a destra) assume ufficialmente la carica di Primo Ministro dello Sri Lanka, 29 ottobre 2018

2. PROMESSE TRADITE

L’intesa tra Sirisena e Rajapaksa ha sorpreso molti osservatori: un tempo stretti alleati politici, i due uomini avevano bruscamente rotto i rapporti nel 2014 e Sirisena aveva successivamente vinto le elezioni presidenziali appoggiandosi allo United National Party (UNP) di Wickremesinghe. Ma le promesse di rinnovamento fatte dal neo-Presidente non si sono realizzate e la relazione chiave con lo UNP si è gradualmente deteriorata. Sia la riconciliazione con la comunità Tamil che la riforma delle forze di sicurezza non hanno infatti registrato significativi progressi, mentre l’economia dello Sri Lanka è entrata in una fase di crescente instabilità a causa della debolezza della rupia cingalese sui mercati internazionali. Inoltre varie agenzie di rating hanno denunciato l’alto debito pubblico del Paese, che corrisponde ormai al 77% del PIL nazionale. Questo debito è stato contratto soprattutto con la Cina, principale investitore straniero a Colombo con importanti progetti infrastrutturali legati alla Maritime Silk Road (MSR). E un’altra promessa mancata di Sirisena è stata proprio quella di ridurre la presenza economica di Pechino, vista con sempre maggiore preoccupazione da molti cingalesi. Non stupisce quindi che la popolarità del Presidente sia nettamente calata a favore di quella di Wickremesinghe, scatenando una dura competizione tra i due uomini per assicurarsi il ruolo di candidato di punta alle presidenziali del 2020. Una competizione che ha spinto infine Sirisena al colpo di mano del 26 ottobre e alla rinnovata (ma fragile) alleanza con Rajapaksa.

Fig. 2 – Manifestazione a Colombo contro la decisione del Presidente Sirisena di sciogliere il Parlamento, 11 novembre 2018

3. LE PREOCCUPAZIONI DELL’INDIA

Il perdurare della crisi politica a Colombo preoccupa molto la comunità internazionale. Si teme infatti che il Paese sprofondi in una nuova guerra civile simile a quella contro i separatisti Tamil dei decenni scorsi. Inoltre l’India teme che il ritorno al potere di Rajapaksa spinga ulteriormente lo Sri Lanka nell’orbita della Cina, rendendo il Paese sempre più dipendente da Pechino sia in termini economici che politici. Non a caso il Governo cinese è stato finora l’unico a riconoscere il nuovo esecutivo cingalese, mentre Delhi continua a diffidare dei segnali distensivi inviati da Rajapaksa nei giorni scorsi.

Simone Pelizza