L’ostilità tra Stati Uniti e Corea del Nord, come molti ben sanno, non ha radici lontane – probabilmente solo perché la nascita della Repubblica Popolare Democratica di Corea è anch’essa abbastanza recente.
La penisola coreana, da parecchi decenni sotto controllo giapponese, alla fine della seconda guerra mondiale venne occupata per metà da truppe sovietiche, e per l’altra metà da soldati statunitensi. Frutto tardivo della seconda guerra mondiale, la divisione dell’ex-colonia giapponese sarà anche uno dei primi banchi di prova della guerra fredda. Il Nord, sotto ferreo controllo sovietico, individuava nella propria “guida suprema” Kim Il-Sung, già nemico giurato dei giapponesi, che aveva avuto l’occasione di coltivare la propria ideologia comunista in Cina e al seguito dell’Armata rossa. Il Sud, al contrario, imboccava faticosamente la via “occidentale”, capitalista e democratica – sebbene per la democrazia si sia dovuto aspettare fino agli anni ‘90. L’ostilità tra i due Stati, che facevano rispettivamente riferimento a Cina, URSS e Stati Uniti, era palpabile, dacché né Pyongyang né Seoul erano disposte a riconoscere l’avversario; entrambi i regimi, inoltre, avevano come obiettivo primario la riunificazione della penisola.
2. GUERRA!
Forte di un esercito ben addestrato e rotto a numerose battaglie, nonché dell’appoggio cinese (con i sovietici che, al contrario, si limitavano a fornire supporto eminentemente logistico), il Nord decise di fare la prima mossa, attaccando a sorpresa, e senza dichiarazione di guerra – eccezione divenuta consuetudine dopo la Seconda Guerra Mondiale -, il Sud. Dopo alterne vicende e rivolgimenti, e due milioni di morti, il confine rimase grossomodo attestato sul 38° parallelo, con pochissimi cambiamenti rispetto a quella che era stata la linea di confine concordata alla fine del conflitto mondiale. Da questo momento in poi, le relazioni tra Stati Uniti e Corea del Nord saranno pressoché nulle, fatta eccezione per sporadici, ma talvolta non di lieve entità, incidenti lungo la linea di confine.
3. ARMI NUCLEARI (1991-2016)
La fine della guerra fredda e la consequenziale battuta in ritirata mondiale del comunismo non fecero altro che accrescere ancora di più l’isolamento della Corea del Nord, ancora saldamente ancorata alla propria ideologia-guida. È in questo contesto di crescente esclusione che si colloca l’inizio dello sviluppo (inizialmente limitato a sospetto) di armi e testate nucleari.
La Corea del Nord, infatti, nonostante avesse, in prima battuta, aderito al Trattato di non proliferazione nucleare, non si diede mai premura di attenersi appieno alla lettera di quest’ultimo. Dopo sforzi diplomatici più o meno intensi da parte dell’amministrazione Clinton, si giunse nel 1994 ad un accordo (Agreed Framework) con il quale Kim Jong-il, successore di Kim Il-Sung (morto d’infarto nello stesso anno), si impegnava a desistere del perseguire un programma nucleare autonomo, in cambio di sostegno economico ed energetico – gli Stati Uniti, per parte loro, si impegnavano ad inviare rifornimenti costanti di petrolio.
Il regime nord coreano, tuttavia, in segreto decise di proseguire la ricerca e con il potenziamento del programma missilistico, senza neppure rinunciare alle pur numerose provocazioni contro la Corea del Sud. Dal canto loro, anche gli Stati Uniti ebbero delle difficoltà ad onorare il patto, con il Congresso che ritardava spesso e volentieri i rifornimenti pattuiti di petrolio. L’efficacia dell’Agreed Framework mostrò i primi evidenti segni di cedimento quando nel 1998 la Corea del Nord effettuò il primo esperimento missilistico a lungo raggio, e poté dirsi definitivamente tramontata con l’avvento di George W. Bush, abbastanza dubbioso sull’efficacia del suddetto accordo.
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