Secondo Carlo Giovanardi nei documenti sul caso del DC9, desecretati ma poi riclassificati come segretissimi, c’è la dimostrazione che la causa del disastro sia stata una bomba
«Solo in Italia può succedere una cosa del genere. Credere alla teoria del missile sulla base di film o di dichiarazioni senza prove. Ma le prove ci sono. L’altro giorno in aula mentre parlavo di Ustica con dei colleghi ed è venuta fuori la storia del missile, anche il ministro Pinotti ha detto “ma quale missile, sanno tutti che è stata una bomba”. Le carte ci sono, le ho viste personalmente e ora chiedo di desecretarle, siamo pronti a confrontarci con chiunque. Non se ne può più delle teorie astruse e complottistiche basate sulla sola suggestione». Il tema, si sarà capito, è la strage di Ustica del 27 giugno del 1980, quando il volo DC-9 dell’Itavia partito da Bologna e diretto a Palermo s’inabissava nel mare tra le isole di Ustica e Ponza, portandosi dietro ottantuno vittime e nessun colpevole. Dopo fiumi d’inchiostro e le più varie teorie sul disastro aereo – cedimento strutturale, bomba a bordo, un missile che colpisce il velivolo o la collisione con un aereo militare – il lavoro degli inquirenti si è concluso lasciando aperte ipotesi e paventando complotti. Eppure, tra le carte dei servizi segreti emerge una verità lampante che potrebbe ridare finalmente dignità all’Italia e ai parenti delle vittime e mettere la parola fine sul caso.
Senatore Giovanardi, perché non ci racconta esattamente cosa c’è dentro quei documenti?
Perché mi costerebbe tre anni di carcere. Io però le carte le ho viste perché facevo parte delle Commissione d’indagine Moro, e là si trova la verità anche se non posso divulgare notizie in merito. Posso però dire che mi si sono rizzati i capelli in testa a leggerle, a cominciare dalle vicende del maggio e giugno 1980 che hanno preceduto la strage, dove emerge il contrasto furibondo tra l’Italia e il Movimento di George Habbas, il Fronte Popolare per la liberazione della Palestina, e i libici che stavano dietro a Habbas. Tutto nasce dal sequestro dei missili a Ortona del 1979. Secondo gli accordi con la Palestina, quel traffico non sarebbe dovuto essere fermato e i responsabili sarebbero dovuti essere lasciati liberi. Ma poiché la procura dell’Aquila non li liberò e anzi li condannò, ci fu un’escalation impressionante di minacce di rappresaglia dal mondo arabo fino a quell’ultimo cablogramma che arrivò da Beirut a poche ore dall’esplosione dell’aereo sopra Ustica.
La vicenda andrebbe inquadrata all’interno del cosiddetto “lodo Moro”, un accordo secondo cui l’Italia consentiva ai terroristi palestinesi il transito di armi sul nostro territorio in cambio dell’assicurazione che il nostro paese sarebbe stato risparmiato da atti terroristici. Il rinvenimento dei missili da parte dei servizi segreti e l’arresto di alcuni trafficanti di armi dell’OLP in Italia portò alla rappresaglia. Sarebbe questa la storia?
Giuseppe Zamberletti (Sottosegretario agli Interni nei governi Moro e Andreotti, ndr) addirittura collegava Ustica alla strage di Bologna, sostenendo che tutto era nato dal distacco di Malta dalla Libia. La firma di un accordo tra il nostro governo e quello del primo ministro maltese Dom Mintoff, con cui si garantiva la difesa della Repubblica di Malta contro ogni attentato alla sua neutralità e autonomia, era stato preceduto da minacciosi “avvertimenti” da parte libica. Bologna sarebbe la rappresaglia per la firma, avvenuta nello stesso giorno, perché quell’accordo allontanava Malta e la questione dei giacimenti di petrolio dalla Libia.
Non le pare di mettere troppa “carne al fuoco”?
La verità giudiziaria non è sempre la verità storica. Noi oggi non dovremmo più cercare di scoprire se è stato un missile o una bomba a far precipitare il DC9, ma piuttosto chi sia stato a mettervi sopra la bomba. Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha parlato di ombre e opacità persistenti e della necessità di cercare la verità univoca e condivisa. Eppure, ancora dopo trentasei anni insisitiamo a mantenere il segreto sulla vicenda.
Eppure, la Direttiva Renzi ha desecretato le carte. E là non c’è niente di tutto questo…
La pista delle carte è ben precisa. La Direttiva Renzi è solo un’illusione: fino a due anni fa i documenti erano coperti da segreto di Stato, dunque non li hanno potuti vedere neanche i magistrati che indagavano sulla strage. Tecnicamente hanno tolto il segreto di Stato, è vero, ma poi sulla base della normativa vigente subito dopo hanno riclassificato di nuovo centinaia di quei documenti come “segreto” e “segretissimo”, quindi non divulgabili.
Se la bomba ha una base solida, come si è arrivati alla teoria del missile?
In quattromila pagine e quattro anni di lavoro, le perizie tecniche avevano concluso in maniera univoca che si era verificata una “esplosione di una bomba nella toilette di bordo”. Ora, in tutti i paesi civili del mondo la cosa sarebbe finita lì, poiché quando le commissioni tecniche determinano le cause dell’incidente, i magistrati vanno a cercare i responsabili e non altre ipotesi. In Italia, invece, un avvocato di Bronte prima della fine del processo penale, in una sentenza civile di ricorso per il risarcimento, scrisse che secondo lui la causa poteva essere stata un missile. Prove? Zero. In appello, l’avvocatura di Stato portò le risultanze del processo penale e vinse, ma la Cassazione stabilì che i documenti erano giunti con un giorno di ritardo. Preso atto che i documenti erano stati depositati fuori termine dall’avvocatura dello Stato, si rimandò all’appello la decisione che però doveva essere fatta solo sulla base delle istanze delle parti. A quel punto sul tavolo era rimasta solo l’ipotesi del missile e la Cassazione confermò che quella tesi era “congruamente motivata”, ma non provata. Da qui nasce l’equivoco secondo cui la Cassazione penale ha detto una cosa e quella civile un’altra. Il resto lo hanno fatto i film, libri, etc.
Eppure, sono stati messi in mezzo anche gli americani e i francesi, per via del missile o di una presunta battaglia aerea…
Dal punto di vista internazionale, la storia è chiarissima ed è stata confermata da anni. Non è possibile che ancora nel 2016 si segua ancora la pista dell’aereo francese o si avvalorino tesi strampalate sulla suggestione di film come quello di Martinelli (“Ustica”, 2016), come fanno i giornali italiani a cominciare dal Corriere della Sera. Il presidente USA Bill Clinton ha già risposto a Giuliano Amato sulla questione. Il presidente francese Jacques Chirac ha già risposto di persona ad Amato sulla questione. Hanno risposto per filo e per segno le settanta rogatorie. Quindi, ci sono più che esaustive e ripetute risposte al governo italiano con tanto di firme autografe dei presidenti. Ecco perché nessuno accusa Francia e Stati Uniti, perché non ci vogliamo coprire di ridicolo. Mentre dalla Libia c’è sempre stato silenzio assoluto.
Nessun tentativo di coprire la vicenda?
Come ha detto Edward Luttwak, ci vogliono degli idioti per pensare che un aereo militare parta da una base o da una portaerei armato di missili, cosa per cui ci vogliono una decina di persone tra assistenti di volo e armieri, e tornando indietro senza un missile e con 81 morti nessuno poi dica niente. Ma le pare possibile? Quando gli americani abbatterono l’Airbus iraniano (il 3 luglio 1988 un missile statunitense colpì il volo Ira Air 655 mentre sorvolava lo Stretto di Hormuz, ndr) dovettero ammettere che era un errore e in seguito risarcirono le famiglie delle vittime. Ora, se nel caso di Ustica non c’è traccia di missili, allora si dovrebbe dire che c’è stata una “quasi collisione” tra aerei, cosa mai accaduta nella storia dell’aviazione. A queste vicende se ne assomma un’altra, e cioè che l’Italia a trentasei anni di distanza non ha ancora presentato le carte del Final Report a Montreal (sede dell’ICAO, Organizzazione internazionale dell’aviazione civile, agenzia autonoma delle Nazioni Unite, ndr), dove i paesi sono tenuti a informare la comunità internazionale circa le cause di un incidente aereo.
Dunque, nessun complotto ma neanche alcuna certezza.
Il presidente del Consiglio Giuliano Amato all’epoca in cui ero ministro mi autorizzò a dire in Parlamento che l’Ammiraglio Fulvio Martini, allora direttore del SISMI, aveva sempre e solo parlato di bomba a bordo, anche quando era stato sentito in Commissione Stragi.
Già, ma il presidente della Repubblica Francesco Cossiga sostenne il contrario…
Cossiga disse che gli risultava che Martini avesse parlato di missile, salvo poi cambiare opinione. In Commissione Stragi aveva anche lui parlato di bomba come della causa più probabile. Ma al di là di questo, il punto è che mentre per anni si è fatta polemica sull’opportunità di mantenere o meno il segreto di Stato, adesso che sappiamo che le carte ci sono e sono eclatanti, pubblichiamole. Diamole ai giornalisti, gli storici, gli esperti, rendiamole pubbliche per il bene della verità. Saranno loro a giudicare.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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