Lo scorso 20 maggio si sono tenute le elezioni presidenziali in Venezuela, elezioni che hanno sancito la conferma di Nicolas Maduro alla guida del paese per i prossimi sei anni. Una vittoria che promuove in teoria il chavismo nonostante tutto: crisi economica, inflazione galoppante, crisi sociale, aspra contrapposizione dell’opposizione politica, sanzioni finanziarie provenienti da Washington, estromissione (subita) dal Mercosur e (voluta) dall’OSA. Uno scenario ben lungi dall’essere idilliaco e che passa da altre congetture che non trovano una coerenza con il risultato elettorale che premia il chavismo.
Nei particolari Maduro è stato eletto per la prima volta nel 2013, a seguito della morte di Hugo Chavez, con un esiguo 50,78% ed i suoi sei anni di primo mandato hanno visto un preoccupante deterioramento dei parametri economico-sociali del paese tanto da permettere all’opposizione politica un’ascesa in termini di consensi non indifferente fino alla conquista di una maggioranza schiacciante all’interno dell’Assemblea Nazionale con ben 112 seggi sui 167 disponibili (2015). Contrapposizione tra organi dello stato che rischiava di portare il paese allo stallo politico e che finiva con il creare grandi pressioni sulla presidenza stessa costretta a raggirare il blocco mediante numerosi decreti d’urgenza a firma del presidente Maduro. Pressioni che portavano quasi all’evidenza di una necessaria rielezione presidenziale. Ma così non è stato perché se da un lato l’opposizione al chavismo cercava di indire un referendum per destituire Maduro, dall’altro lato lo stesso presidente mediante il CNE (Consiglio Nazionale Elettorale del Venezuela) sanciva l’irregolarità della raccolta firme e l’impossibilità a procedere nei tempi previsti dalla Costituzione.
Ma non basta: nel 2017 per decreto presidenziale viene indetto un referendum per la creazione di un’Assemblea Costituente ovvero di un organo preposto a sostituire l’Assemblea Nazionale con una composizione totalmente differente da quella parlamentare e “capace” di rappresentare i settori sociali oltre che politici. Il referendum, boicottato dall’opposizione, registra ufficialmente la partecipazione del 41,53% dell’elettorato del paese con oltre il 99% in favore della costituzione dell’Assemblea Costituente. Sempre il 2017 poi vede il paese impegnato nelle importanti elezioni amministrative in 335 municipalità, ma inizia una lunga controversia sulla data effettiva delle stesse elezioni che porta l’opposizione chavista a desistere dal prendervi parte. Ovviamente non tutta l’opposizione, ma la parte più consistente coalizzata nell’Unità Nazionale (MUD). Il risultato è un’affluenza del 47,32% e della vittoria del Grande Polo Patriottico (coalizione capitanata dal Partito Socialista Unico del Venezuela – PSUV) in ben 305 comuni. L’astensione del MUD dalle elezioni municipali viene strumentalizzata da Maduro contro lo stesso MUD e in particolare con la parte dello stesso che si è sottratta dalla corsa elettorale alle amministrative. Il presidente infatti indica come le stesse parti politiche assenti nelle elezioni amministrative non potranno concorrere alle presidenziali del 2018. Presto fatto: è lo stesso MUD a rilanciare la sfida sottraendo se e il proprio elettorato all’importante appuntamento del 20 maggio 2018. Il risultato è stato quello di decretare la vittoria del chavismo con il 67,76% dei voti su un’affluenza intorno al 46%. Per intenderci nel 2013 l’elezione di Maduro è avvenuta con un’affluenza alle urne del 58,92% contro un’affluenza dell’80,56% ottenuta da Chavez pochi mesi prima della sua morte. Inoltre nelle amministrative del 2015 la vittoria del MUD è stata sancita con un’affluenza alle urne del 74,25%.
Detto ciò torniamo alla vittoria di Maduro del 20 maggio che è stata “salutata” durante l’VIII Summit delle Americhe (Lima – 13-14 aprile) con un pressoché unanime non riconoscimento: Stati Uniti, Argentina, Brasile, Colombia tra i principali sostenitori di un preventivo non-riconoscimento di quello che poi è stato il risultato elettorale di domenica. Cosa vuol dire tutto ciò: per Maduro e il Venezuela persisterà con ogni probabilità la condizione di membro sospeso dall’interazione all’interno del Mercosur fino a data da destinarsi a meno che non cambi qualcosa nella leadership politica di Brasile e Argentina. I confini con la Colombia saranno sempre più instabili in prospettiva del ripristino a Bogotà di una leadership politica uribista (elezioni presidenziali il prossimo 27 maggio).
Washington con ogni probabilità inasprirà le sanzioni finanziarie nei confronti di Caracas in attesa di capire come poter essere più incisivi sul destino del governo venezuelano e l’Europa non fa altro che seguire le linee guida dettate dall’entourage di Trump. Ecco quindi come la situazione venezuelana appare sempre più simile all’isolazionismo geopolitico vissuto tra gli anni ’80 e ’90 dalla Cuba di Fidel Castro. Un paradosso dagli assurdi risvolti per un paese che risulta pur sempre tra i più ricchi al mondo in termini di risorse naturali, ma che sulle stesse ha fondato pericolosamente ogni programmazione politica-economica. Lo stesso Chavez, prima della prematura morte nel 2013, aveva intuito la necessità di far progredire il sistema Venezuela sul piano infrastrutturale ed economico puntando su una più equilibrata diversificazione produttiva. La strada percorsa era quella del sistema cooperativo quale base dello sviluppo dell’intraprendenza privata pur tuttavia riscontrando difficoltà sull’attuazione pratica del progetto. Purtroppo la scomparsa del leader sembra aver portato il partito ad un reindirizzo delle priorità e la contrazione del prezzo del petrolio (2014) non ha fatto altro che arenare ogni ambizione nazionale di riposizionamento internazionale. Oggi il Venezuela che vediamo è ben lontano da quello costruito da Chavez così come appare lontano dai progetti che lo stesso aveva avviato per il medio-lungo periodo. La violenza dilagante non è altro che l’aspetto più superficiale della terribile crisi che coinvolge il paese e il futuro prossimo non fa altro che far pensare ad un confronto sempre più duro tra governo e opposizione e fra governo e gli altri attori internazionali (in primis gli Stati Uniti). Non è assurdo pensare a nuovi tentativi di golpe all’orizzonte e pertanto a un difficile percorso governativo di sei anni per Nicolas Maduro che continua a proclamare la necessità di un dialogo di pace tra governo e opposizione finendo tuttavia di fatto con l’accrescere il malcontento di chi non intende scendere a patti con il chavismo.
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