Taiwan è sempre stato uno snodo essenziale per lo sviluppo di una politica estera globale da parte della Cina. La sua (ri)annessione è un postulato mai messo in dubbio da tutti i leader cinesi che si sono susseguiti. Negli ultimi giorni l’Esercito di Liberazione Popolare (LPA) ha organizzato esercitazioni aeree e navali vicino a Taiwan, mostrando all’isola e ai suoi alleati una rapida capacità di accerchiamento. Gli Stati Uniti sono avvisati.
Esercitazioni militari nello stretto di Taiwan
Lunedì 12 aprile 25 jet cinesi hanno sconfinato nell’area sotto il controllo della Repubblica Cinese, una maxi-incursione di Pechino nello spazio aereo di Taiwan, la più grave dallo scorso settembre. Il 6 aprile un gruppo di portaerei cinesi è entrato nelle acque taiwanesi. E nello stesso giorno, 10 aerei militari hanno valicato la zona di identificazione di difesa aerea (ADIZ) dell’isola. Si tratta di uno spazio aereo in cui per entrare bisogna sottostare a particolari procedure di identificazione dei velivoli, per la salvaguardia della sicurezza nazionale.
Il ministro della Difesa di Taiwan ha affermato di essere a conoscenza delle esercitazioni, ma la loro sempre maggiore regolarità manda segnali contraddittori all’isola, come ai suoi alleati. Con queste operazioni l’esercito cinese ha mostrato una più che rapida capacità di accerchiamento, che potrebbe tagliare fuori l’ex Formosa, non permettendole di ricevere aiuti esterni in un primo momento. Questo fatto è inscrivibile nel contesto di import-export di armi, che vede Taiwan ricevere più del 70% delle importazioni di carattere militare dagli Stati Uniti. Dato che permette di capire l’interrelazione tra i due paesi, e inoltre testimonia il grande impegno americano nella questione. Sicuramente nemmeno gli Stati Uniti sono nuovi ad altrettante esercitazioni vicino alle coste in questione, in quella che sembra essere una dimostrazione di deterrenza stile guerra fredda. Di fatti, nella giornata di domenica 4 aprile, il TRCSG, un gruppo da battaglia di una portaerei USA, ha svolto operazioni di routine nel mar cinese meridionale.
Scontro verbale Cina-Taiwan
A queste operazioni ed esercitazioni militari hanno fatto seguito dichiarazioni da parte dei politici. Nonostante Taiwan non abbia mai fatto parte formalmente della Repubblica Popolare Cinese, non è mai uscita dall’agenda politica di Pechino. Xi Jinping, in occasione del quarantesimo anniversario del messaggio inviato a Taiwan nel 1979, che auspicava la riunificazione e la fine del confronto militare, ha affermato che non esclude l’uso della forza per perseguire questo obiettivo secolare. La narrazione è proseguita proprio in seguito agli ultimi avvenimenti, quando Joseph Wu, ministro degli esteri di Taiwan, ha affermato che l’isola resisterà fino alla morte in caso di attacco armato. Mentre dai vertici dell’esercito cinese fuoriesce la volontà di proseguire le esercitazioni e di metterle in campo con più regolarità, già dal prossimo futuro. I progetti dell’esercito lanciano anche un messaggio domestico da non sottovalutare: i leader cinesi prendono ancora molto seriamente il progetto della riunificazione.
Opposizioni all’annessione di Taiwan
All’esterno dei confini, l’opporsi all’annessione rimane invece un postulato imprescindibile. Il rafforzamento del dialogo quadrilaterale tra Stati Uniti, Giappone, India e Australia è un esempio lampante. L’India, che ha legami tutt’altro che rosei con la Cina, come testimoniano i recenti scontri armati nelle vette dell’Himalaya tra i due eserciti, hanno diversi motivi per contrastare il progetto. Di fatti, lo stretto di Taiwan rappresenta la congiuntura tra il Mar Cinese Meridionale e Orientale. Se fosse sotto il controllo cinese, gli interessi commerciali indiani nell’Oceano Indiano sarebbero messi a repentaglio, dal momento che aumenterebbe la presenza cinese. Un discorso simile si può fare anche per il Giappone. Di cui inoltre non va sottovalutato il massiccio riarmo, che comprende un progetto nucleare. La crescita dell’influenza giapponese non può assolutamente prescindere da un ridimensionamento delle mire cinesi. L’Australia invece, in merito alla questione, può considerarsi un satellite americano, in qualità di unico paese anglofono orientale, un Paese che ha tuttavia ha numerose relazioni con la Cina.
Strategie USA a Taiwan
Gli Stati Uniti sono di certo gli oppositori più impegnati nell’ostacolare le mire espansionistiche del dragone asiatico. Negli ultimi anni le esercitazioni della marina statunitense nel Mar cinese Meridionale sono state molto frequenti. Le loro motivazioni più superficiali riguardano l’impegno nel far sì che non venga intaccata la libertà di navigazione dell’area, che si lega ad un profondo bisogno di riaffermazione del ruolo di egemone globale, in contrasto con gli interessi cinesi. Al contrario, le operazioni della marina e il recente transito di cacciatorpedinieri vicino a Taiwan sono interpretate diversamente da Pechino. Secondo i portavoce del governo, stanno lanciando chiari messaggi alle forze pro-indipendenza nell’isola. L’ammiraglio americano al comando della flotta nell’Indo-Pacifico risponde che le manovre sono da iscriversi nell’impegno americano a mantenere un transito libero e sicuro. Ed ammette inoltre che la minaccia è più prossima di quanto si creda. La possibilità di un attacco armato non ha mai abbandonato il dialogo interno a Pechino.
Oltre ai paesi del QUAD poi, anche Germania e Francia hanno interessi nel commercio orientale e nel mantenimento dello status quo. I contenziosi con i vicini perciò sono molto numerosi, mentre gli alleati in questa questione scarseggiano.
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