La Via della Seta persegue sicure finalità commerciali che comprendono, tra l’altro, il geo-strategico settore delle telecomunicazioni. Un settore rilevante sia per finalità politiche che commerciali. In entrambi i casi, gli algoritmi che ne sono oggi i principali attori, per dirla con Dominique Cardon, sognano di avere a disposizione moltissimi dati per perseguire i loro obiettivi. Ecco allora che acquista centralità il controllo sui big data e non solo, da parte dei governi e delle imprese, così come dei giganti del web: l’argomento tutela della privacy viene richiamato sia con finalità diplomatiche che commerciali per spingere i consumatori in una direzione piuttosto che in un’altra.
Lo dimostra chiaramente il rapporto dell’intelligence americana consegnato al Senato USA secondo cui hardware e software Made in China rappresentano una minaccia alla privacy dei cittadini e ai segreti industriali delle imprese americane. Lo dimostrano anche l’accordo saltato tra Huawei e AT&T, nonché le conseguenze del bando americano ai prodotti cinesi tale per cui, ad esempio, Huawei potrebbe dover rinunciare al sistema Android (con ogni conseguenza sull’appetibilità sul mercato di quella che ad oggi è la seconda marca di smartphone dopo Samsung e prima di Apple).
In fondo, l’argomento privacy attira sempre di più l’attenzione dei consumatori e se prendiamo qui in considerazione l’asse Stati Uniti-Europa-Cina, soltanto l’UE con il Regolamento europeo del 2016 (meglio noto come GDPR) rappresenta l’avanguardia normativa con la quale Stati Uniti e Cina devono in qualche modo confrontarsi per attingere al mercato europeo.
Il livello europeo, se rispettato, rappresenta il più elevato standard di tutela ed è in grado di imporsi anche oltre l’Europa: il trasferimento di dati personali verso un Paese terzo è ammesso se la Commissione ha deciso che il Paese terzo garantisca un livello di protezione adeguato e a condizione che gli interessati dispongano di diritti azionabili e mezzi di ricorso effettivi.
Secondo il Garante della Privacy italiano, «i dati personali degli italiani e degli europei sono oggi più protetti quando società americane – del web o dell’e-commerce – li trasferiscono negli USA». Molto meno «quando sono le aziende cinesi a spingerli lungo la via dell’Oriente. E questa discrepanza minaccia di aggravarsi, ora che le reti 5G faciliteranno il monitoraggio e la velocità di trasmissione dei dati». Inevitabile allora chiedersi se le intese per raggiungere gli obiettivi della Via della Seta tengano in considerazione gli allarmi lanciati sul tema privacy. Ebbene, nel Memorandum of Understanding sottoscritto tra Italia e Cina leggiamo soltanto che quegli obiettivi saranno raggiunti con «spirito di mutuo rispetto, uguaglianza e giustizia con modalità reciprocamente vantaggiose nell’ottica di una rafforzata solidarietà globale».
Se vogliamo dare un qualche contenuto a quella formula, però, scorrendo l’intero testo l’unico aspetto nominato è quello del rispetto dei diritti di proprietà industriale. Nessuna parola, invece, neppure a livello di mero principio, sul rispetto della privacy. Ma l’esigenza di richiamare qualcosa in più di una generica frase emerge chiaramente da alcuni recentissimi casi che fanno comprendere come i nostri dati non siano propriamente al sicuro o, comunque, che noi non ne abbiamo una consapevolezza sufficiente per gestirli in maniera efficace: dalle backdoor scovate nei telefoni Huawei e ZTE agli smartphone intercettati al cambio di frontiera con la Cina, fino agli scandali occidentali come Cambridge Analytica e in Italia lo spyware Exodus. Tutti questi casi potrebbero portare a concludere che, in fondo, le violazioni sono comuni a tutti. Ma una differenza esiste e non è da poco: da una parte vi sono Paesi in cui la libertà rappresenta un valore fondante e dall’altro la Cina, dove il controllo onnivoro rappresenta, addirittura, il prerequisito di accesso alla rete controllata dal Great Firewall o la possibile spiegazione dello sviluppo della videosorveglianza con riconoscimento facciale.
Articolo pubblicato sul numero di Babilon Magazine sulla Via della Seta: Silk and Rain
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Fabio Valerini
Laurea in diritto processuale civile presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa, Diploma di specializzazione in Professioni legali, Dottore di ricerca in «Tutela giurisdizionale dei diritti, imprese, amministrazioni» nell’Università di Roma Tor Vergata. Avvocato, docente.
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