La netta vittoria del SI al referendum dello scorso weekend ci consegna un Parlamento completamente nuovo, inedito nella nostra Storia, sia essa monarchica o repubblicana.
Non ne esce un Parlamento con funzioni diverse rispetto a quanto prevede la Carta Costituzionale, ma uno con numeri diversi: infatti i deputati passano da 630 a 400, mentre i senatori scendono a 200 dai 315 (più le nomine presidenziali) previsti dalla Costituzione originaria. Un taglio del 36,5%, con risparmi di circa 80 milioni annui (52,9 milioni per la Camera dei Deputati e 28,7 per il Senato della Repubblica).
Fatto il taglio e ottenuto il risparmio, rimangono da fare ancora alcune cose, come, ad esempio, ridisegnare le circoscrizioni elettorali (strettamente collegati alla legge elettorale) e i regolamenti parlamentari. Partendo dalle circoscrizioni elettorali, il Parlamento ha due opzioni: se la legge elettorale non sarà modificata (anche se il Pd la considera una contropartita essenziale per aver sostenuto il SI, e soprattutto un correttivo necessario all’avvenuto taglio) si andrà a votare con l’attuale sistema integrato a un decreto legislativo che ridisegnerà i collegi; decreto che deve essere varato entro sessanta giorni dall’approvazione della legge costituzionale, rispettando la proporzione tra i collegi uninominali e plurinominali e contando che le Regioni non eleggono più 7 senatori ma tre (invariati i due seggi al Molise e quello per la Valle d’Aosta; le Province autonome di Trento e Bolzano, ai fini elettorali diventano “Regioni”).
Se invece la legge elettorale verrà modificata (in Commissione Affari Costituzionali della Camera si punta su un proporzionale con sbarramento al 5%) i collegi verranno ridisegnati contemporaneamente alla nuova legge. Per quanto riguarda i regolamenti parlamentari, il primo che deve essere rivisto, per un fatto meramente numerico, è quello che disciplina la composizione delle commissioni parlamentari; coi vecchi numeri, infatti, un deputato poteva sedere in una sola commissione, un senatore in tre.
Revisione regolamentare probabile, e si dovrebbe andare verso un abbassamento, anche per quanto riguarda il numero minimo di parlamentari per la costituzione di nuovi gruppi, che, ad oggi, è di 20 deputati e 10 senatori. Inoltre, è passata in prima lettura a Montecitorio, un’altra riforma costituzionale che prevede l’ abbassamento dell’ elettorato attivo per il Senato da 25 anni a 18, il che garantirebbe un aumento nella platea dei votanti di circa 4 milioni.
Questo taglio, ha effetti anche per quanto riguarda la prossima elezione del Presidente della Repubblica, che viene eletto (oltre che da deputati e senatori) anche da 58 delegati regionali: con l’abbassarsi della platea dei votanti, quindi, aumenta indubbiamente il loro peso politico e numerico. A questo proposito vi è una proposta per abbassare il numero di delegati regionali.
In molti si sono spesi sostenendo che questo non era un referendum sul Governo, visti i non benauguranti precedenti, anche se, tutti sapevano che un effetto, in un modo o nell’altro, ci sarebbe stato.
Il primo effetto è la stabilizzazione della figura del Premier Conte; in caso di vittoria del NO, ne sarebbe uscito fortemente danneggiato, visto che, proprio pochi giorni prima del voto si era speso per le ragioni del SI.
Il secondo effetto è il rafforzamento (specie in ottica interna al partito) della figura di Zingaretti, segretario del PD: facendo fare un’inversione ad U ai democratici, Zingaretti ha portato i dem verso le ragioni del SI, in ottica tattica di avvicinamento verso il Movimento 5 Stelle.
Nel caso di Zingaretti, si può parlare di rafforzamento unitamente al risultato delle contemporanee elezioni regionali, dove il centro sinistra strappa un pareggio non scontato, anche se, in questo caso, viene sconfessata la linea del segretario, cioè l’alleanza organica coi pentastellati: in Liguria il PD alleato al M5S, perde, come già successo in Umbria lo scorso ottobre, vince dove se ne tiene ben lontano (Toscana e Puglia).
Questo dovrebbe portare a un cambiamento nei rapporti di forza tra PD e M5S, per quanto riguarda l’esecutivo, e infatti già si parla di cancellazione dei “Decreti Sicurezza” di Salvini, di accettare il MES e i criteri su come spendere i soldi del Recovery Fund.
Ultima considerazione: al referendum del 2016, il NO alla Riforma Renzi-Boschi si affermò col 59%, al referendum degli scorsi giorni, il SI alla riforma ha vinto col 69%, una differenza del 10%: si può sostenere, quindi, che, questa vittoria è, anche, figlia di quel NO del 2016.
PHOTO: ANSA
Michele Rosini
Nato a Livorno nel 1989, studia studia Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l'Università di Pisa. Appassionato di geopolitica e politica italiana. Europeista e atlantista, parla fluentemente inglese e spagnolo, un po' di tedesco e di olandese.
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