«Ricorderemo questo giorno per sempre!». Lo ha detto Trump, lo pensano tutti. Washington Dc, 6 gennaio 2021. Sfrontati, arroganti, a volto scoperto e senza mascherina nell’anno della pandemia, i supporter del presidente uscente hanno marciato sulla capitale Washington Dc. In migliaia hanno attraversato Pennsylvania Avenue e, armati di bandiere e cattive intenzioni, hanno occupato il Congresso degli Stati Uniti, e impedito così la formalizzazione dell’assegnazione a Joe Biden della presidenza degli Stati Uniti. Finché, dopo un appello dello stesso Biden, il loro leader non ha detto loro di rompere le righe. Orgogliosi, gli pseudo-golpisti solo a quel punto hanno ripiegato le bandiere e sono tornati tranquillamente a casa, giusto in tempo per il coprifuoco. Scene che a Washington nemmeno per Nixon e la guerra nel Vietnam si erano viste. Folklore, grave assalto, repubblica delle Banane. I commenti si sprecano. Di certo, la situazione è andata fuori controllo. Il mondo è scioccato, senatori e deputati ancor di più.
Questo è solo un dettaglio della cronaca del 6 gennaio 2021. Un inizio d’anno choc per le istituzioni Usa. Se quello precedente si era aperto con l’assassinio del generale iraniano Qassem Suleimani ed era finito nel pandemonio elettorale-sanitario che conosciamo, il 2021 si apre con segnali niente affatto rassicuranti per l’occidente. Il modello americano scricchiola o, quantomeno, offre uno spettacolo preoccupante. Il «faro della democrazia», il grande «laboratorio politico» statunitense stavolta apre a scenari inediti quanto inquietanti per questa giovane nazione.
Il grande «laboratorio politico» statunitense stavolta apre a scenari inediti quanto inquietanti per questa giovane nazione.
Non è stata improvvisa l’accelerazione delle proteste, in verità si susseguono da tempo. Quantomeno da quando Trump è diventato presidente. Di certo dal 3 novembre, da quando cioè l’America ha votato in favore dei democratici, consegnando la casa bianca a Joe Biden. La deriva che da anni ha preso la destra repubblicana negli Usa ci dice che il presidente Trump è soltanto un sintomo. Ha solo stuzzicato un nervo scoperto e favorito senza neanche volerlo sacche di ultras: gang di suprematisti bianchi, alt-right, neonazi, complottisti, milizie armate. Che, al solo udire il comandante in capo contestare il voto dal cosiddetto “establishment”, hanno trovato il pretesto perfetto per dar fuoco alle polveri. Sì, è bastato questo (non è poca cosa, invero) ad aggravare la tensione sociale di un Paese già arrabbiato e psicologicamente provato dalla pandemia. Un Paese, non dimentichiamolo, dove ogni cittadino se lo desidera può essere pesantemente armato.
«Le parole di un presidente possono essere d’ispirazione nel migliore dei casi, nel peggiore incitare»
«Le parole di un presidente possono essere d’ispirazione nel migliore dei casi, nel peggiore incitare» ha sottolineato il presidente eletto Biden nell’appello televisivo all’America. I disordini nella capitale ne sono la plastica dimostrazione. Donald Trump aveva chiesto agli sconfitti alle elezioni di manifestare. Loro hanno risposto subito e, come insegnano i libri di storia, quasi per caso si sono ritrovati al centro di qualcosa più grande di loro. Ci saranno tempo e inchiostro per analizzare le ragioni e profilare i protagonisti dell’assalto al Congresso (per la cronaca, si auto definiscono «patrioti»). Così come si possono decodificare in molti modi i loro comportamenti e i simboli di questa giornata: dall’immagine del manifestante che profana l’ufficio della speaker della Camera, Nancy Pelosi, alle finestre rotte attraverso cui le orde di trumpisti sono penetrati nel palazzo).
An explosion caused by a police munition at the Capitol Building in Washington. Follow live: https://t.co/EDRz3jF3o3 📷 @LeahMillis pic.twitter.com/1fAWd7dduA
— Reuters Pictures (@reuterspictures) January 6, 2021
Si può star certi che Trump ritiene di aver segnato un grande punto in suo favore.
Ma il dato politico rimane la pacatezza di Biden, che non poteva fare più di quanto ha fatto, di fronte alla sfrontatezza di Trump, che si può star certi ritiene di aver segnato un grande punto in suo favore (senz’altro la “sua” gente adesso ha una data storica che vorrà ricordare a lungo). I due uomini non potrebbero concepire le istituzioni in maniera più differente, e difatti ciascuno di loro parla esclusivamente al proprio elettorato, dunque a due pubblici di riferimento differenti e distanti. Il che alimenta la certezza che questa fredda giornata di gennaio abbia rappresentato solo un capitolo di un movimento tellurico che sta allontanando da tempo e sempre più le due grandi anime dell’America, che definire progressista e conservatrice sarebbe ormai troppo riduttivo. Il rischio è che quell’anima vada persa per sempre. Qualcuno spera sia l’atto finale di una presidenza tragica, un fuoco di paglia degli sconfitti. Ma quantomeno il calendario suggerisce invece che siamo soltanto all’inizio.
PER APPROFONDIRE: HARD ROCK AMERICA. Gli Stati Uniti dopo Trump e la pandemia
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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