“Se lo Xinjiang è perduto, la Mongolia è indifendibile e Pechino è vulnerabile”. Questo antico motto cinese riassume perfettamente l’importanza strategica dello Xinjiang, o Turkestan Orientale, la cui straordinaria collocazione geografica – è confinante con Mongolia, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan e Kashmir indiano – lo rende importante dal punto di vista geopolitico, geostrategico ed economico. Nella regione la maggioranza della popolazione, circa il 46%, è appartenente all’etnia uigura, turcofona e di fede musulmana. La Repubblica Popolare Cinese si definisce ufficialmente uno Stato multietnico unitario e riconosce 56 gruppi etnici. L’etnia principale è quella Han, che rappresenta il 92% della popolazione, mentre le altre 55 etnie sono indicate quali minoranze. Gli uiguri sono circa 10 milioni e rappresentano lo 0,7% della popolazione totale. Il grado d’integrazione delle minoranze etniche in Cina è variabile. Alcune di esse, come i tibetani e gli uiguri, sono state negli anni oggetto di persecuzione politico-culturale per cui provano tuttora un forte sentimento di ostilità verso la maggioranza Han. Altri gruppi come gli Zhuang, gli Hui (cinesi Han convertiti all’Islam) e i coreani sono invece ben integrati all’interno del Paese.
REPRESSIONE, SEPARATISMO E JIHADISMO
Il Turkestan Orientale fu annesso all’impero nel 1760, durante la dinastia Qing. Gli uiguri hanno tentato più volte di riconquistare l’indipendenza, in particolare con la creazione della Repubblica Islamica del Turkestan Orientale (1934 e 1944), poi annessa alla Cina nel 1949. Nonostante gli uiguri siano stati riconosciuti come minoranza nazionale (1954) e lo Xinjiang come regione autonoma (1955), le spinte indipendentiste non si sono mai placate, complici il processo di “sinizzazione” imposto dal governo centrale e le politiche repressive e discriminatorie condotte contro di essi.
Nuovi tentativi separatisti sono avvenuti dal 1990 al 1997, sotto la spinta dell’East Turkestan Islamic Party (ETIM) e nel 2009. L’azione anti-separatista cinese si è caratterizzata spesso con processi sommari, torture, arresti illegali e sentenze arbitrarie. Per contrastare la crescita del movimento indipendentista uiguro, il governo di Pechino ha favorito l’afflusso di popolazione di etnia Han nello Xinjiang, in modo da rovesciare le proporzioni numeriche della composizione etnica della popolazione. Le restrizioni della libertà personale e religiosa, invece, sono applicate tramite la raccolta di dati biometrici, l’obbligo di partecipare a eventi del Partito Comunista, l’imposizione dell’apprendimento dei fondamenti del socialismo e del cinese mandarino, il divieto della chiamata alla preghiera, la proibizione di portare la barba lunga e di indossare il velo in pubblico.
Il livello di repressione nei confronti degli uiguri si è intensificato nel 2016 con l’arrivo dell’ex segretario in Tibet, Chen Quanguo, che ha rafforzato i controlli e i monitoraggi ai checkpoint, introdotto l’obbligo dell’installazione di sistemi satellitari sui veicoli, l’applicazione sui coltelli di macellai e ristoratori di codici QR code contenenti le informazioni del proprietario e la detenzione in campi di “rieducazione”, dove vengono imposte formazioni professionali e linguistiche e incontri con psicologi, secondo Pechino necessari a prevenire la radicalizzazione e il terrorismo. Si stima che circa 1,5 milioni di uiguri siano detenuti nei campi di “rieducazione”.
Uno degli effetti indesiderati dell’operato di Pechino verso questa popolazione musulmana è stata l’espansione del proselitismo delle organizzazioni jihadiste. Il governo cinese è preoccupato dalle minacce di Al Qaeda e dello Stato Islamico, che hanno identificato la Cina come un Paese nemico dell’Islam. Tra il 2013 e il 2018, l’ISIS ha reclutato circa 5mila uiguri per combattere in Medio Oriente. Attualmente, nello Xinjiang opera il Turkestan Islamic Party (TIP), in orbita qaedista, erede del precedente East Turkestan Islamic Movement (ETIM). La natura globale delle minacce jihadiste e le relazioni che alcuni gruppi separatisti uiguri stanno intessendo con i principali network del jihadismo internazionale, hanno condotto Pechino a implementare l’attività di controterrorismo all’interno dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai (SCO) e della Struttura di Anti-Terrorismo Regionale (RATS).
L’IMPORTANZA DELLO XINJANG
Lo Xinjiang è irrinunciabile per la Cina, poiché ricopre un ruolo fondamentale dal punto di vista geostrategico e geoeconomico: sia come fornitore energetico e minerario, sia come hub logistico per il commercio, sia ancora per ciò che concerne lo sviluppo della Belt and Road Initiative (BRI), meglio nota come “Nuova Via della Seta”. L’industria dell’estrazione di petrolio e gas di Aksu e Karamay è in piena espansione. Il sottosuolo della regione uigura dispone poi di notevoli riserve di petrolio, gas, carbone, uranio, sale, soda, borace, oro e giada. Essa è, inoltre, strategicamente fondamentale per il transito di oleodotti e gasdotti verso la costa orientale cinese, come l’importante pipeline West-East che collega la regione a Shanghai, e verso i Paesi dell’Asia centrale e meridionale. Lo Xinjiang, inoltre, rappresenta un’area chiave per il transito della “Nuova Via della Seta”, come ad esempio l’importantissimo China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), che collega lo Xinjiang al porto pakistano di Gwadar, garantendo un percorso più breve ai rifornimenti energetici cinesi. I rifornimenti di petrolio mediorientale, infatti, una volta giunti al porto di Gwadar e raffinati in loco, sono trasportati fino alla città di Kashgar, nello Xinjiang appunto, permettendo alle navi mercantili provenienti dal Medio Oriente di evitare l’attraversamento dello Stretto di Malacca. In questo modo, la Cina riduce tempi e costi degli interscambi commerciali con Africa e Medio Oriente.
Pubblicato sul numero di Babilon dedicato alla Cina, Silk and Rain
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Daniele Garofalo
Nato a Salerno, classe 1988, si è specializzato in Storia e dottrine Politiche all'Università di Napoli Federico II. Ricercatore ed analista in materia di Terrorismo Islamista e Geopolitica. Autore del libro “Medio Oriente Insanguinato” (Edizioni Enigma, 2020).
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