Gli ultimi eventi nel sud dello Yemen non solo complicano il dossier yemenita, ma sono anche sintomatici di alcune frizioni fra Emirati e Arabia Saudita, i due principali azionisti della coalizione anti-huthi.
Dopo quasi un anno e mezzo da quando il Southern Transition Council (STC) si è dichiarato forza di Governo, il movimento secessionista del sud dello Yemen ha occupato Aden. Capeggiato da Aydarous al-Zubaydi e sostenuto dagli Emirati, il gruppo è riuscito nelle prime settimane di agosto a entrare in possesso del palazzo presidenziale e delle Istituzioni dell’attuale Governo, riconosciuto dalle Nazioni Unite, sostenuto dall’Arabia Saudita e guidato da Abd Rabbuh Mansur Hadi. Fondamentali per la presa della città e di parte delle province limitrofe di Abyan e Chabwa sono state alcune milizie addestrate da Abu Dhabi, come le Security Belt Forces.
L’iniziativa, bollata come vero e proprio golpe dal Governo di Hadi, dall’Arabia Saudita e dalle Nazioni Unite, ha irritato non poco Riyadh. Grazie infatti al supporto aereo saudita e all’aumento delle truppe vicine al Regno di stanza a sud, le forze filo-governative hanno riguadagnato terreno fino ad Aden, prima che ricadesse di nuovo nelle mani dei separatisti a fine mese. A essere ancora decisivi sono stati i raid aerei, ma questa volta da parte emiratina. Il supporto aereo di Abu Dhabi, intervenuto ufficialmente per colpire le milizie terroriste, ha così permesso alle forze del STC di rioccupare Aden.
Dopo queste prime schermaglie e in seguito al presunto fallimento dei negoziati che vedevano partecipe al-Zubaydi a Jeddah, i due maggiori azionisti della coalizione anti-huthi hanno cercato di ricucire, almeno istituzionalmente, lo strappo. Una dichiarazione congiunta di Arabia Saudita ed Emirati dell’8 settembre sottolinea infatti la necessità di un dialogo costruttivo fra l’STC e il governo di Hadi.
Fig. 1 – Manifestanti filo-secessionisti ad Aden
Quanto accade nel sud del Paese è paradigmatico di come l’alleanza fra Arabia Saudita ed Emirati non sia così solida. Inizialmente le operazioni lanciate nel 2015 dalla coalizione a guida saudo-emiratina avevano come principali obiettivi comuni lo smantellamento dell’alleanza fra i ribelli huthi e l’ex presidente Ali Abd’Allah Saleh, la reinstallazione del Governo Hadi e la prevenzione dell’ascesa al potere degli huthi, indicati come proxy di Teheran.
È stato però chiaro fin da subito come i due Paesi avessero agende diverse. Se infatti l’Arabia Saudita ha identificato nell’Iran il principale pericolo, gli Emirati vedono una minaccia nel partito Islah, una delle colonne portanti del Governo Hadi e la principale espressione locale dei Fratelli musulmani. Di conseguenza, mentre in principio il sostegno a un Governo nazionale in funzione anti-huthi era importante, gli Emirati si sono via via avvicinati al STC. Altri due importanti dossier su cui Emirati e Arabia Saudita differiscono sono quelli della regione di Mahrah e dell’arcipelago di Socotra, così come in passato si erano registrate frizioni nella città portuale di al-Hudeydah.
In questa prospettiva va letto anche il riposizionamento in Yemen delle truppe emiratine di metà luglio, giustificato invece da alcuni ufficiali di Abu Dhabi come la prova dell’impegno nel processo di pace. La mossa ha infatti permesso agli Emirati di rafforzare i legami con il STC e con Tareq Saleh, nipote dell’ex Presidente Saleh a capo di alcune milizie che controllano la costa occidentale.
Fig. 2 – Soldati yemeniti controllano dei veicoli colpiti dai raid emiratini fuori Aden
Anche in merito agli scenari futuri, Riyadh e Abu Dhabi hanno posizioni divergenti. Se il Regno predilige un unico Yemen, possibilmente indebolito e facilmente controllabile, dall’altra parte gli Emirati hanno abbracciato la causa secessionista (opzione che pare gradita anche la Russia).
Quel che è certo è che per prevenire un’ulteriore escalation del conflitto e della crisi umanitaria è necessario rivedere alcuni punti della Risoluzione n. 2216 (2015) del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. L’ipotesi di una resa incondizionata degli huthi e il riconoscimento del Governo Hadi non solo appaiono irrealizzabili per le forze coinvolte, ma non considerano i nuovi attori comparsi in questi anni, come ad esempio il neonato SNCS, un altro movimento secessionistico del sud con base nell’area di Mahrah.
Se lo scenario secessionistico è pur sempre difficile da realizzare, l’ipotesi federalista non è molto più semplice, con gli attori coinvolti che rivendicano o la scissione o la fine di una marginalizzazione socioeconomica e politica. Il futuro dello Yemen appare dunque sempre più incerto, con il Paese intrappolato in un gioco di forze internazionali, con la popolazione civile a pagare ancora una volta il prezzo più alto.
Pubblicato su Il Caffè Geopolitico
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